20 novembre 2013

TtA #30 - L'uomo con l'accetta (azzurro impiegatizio)

Le gocce di pioggia battevano violente sul cortile della Tafazzi Inc, utilizzato come parcheggio interno dalle “alte sfere“ della società. I semplici dipendenti parcheggiavano fuori, esponendo le proprie vetture ai consueti disagi di chi non ha un parcheggio riservato.
una cover, seppur pacchiana e artigianale
Alan arrestò bruscamente la propria automobile di fronte all‘edificio, in doppia fila. Usò le chiavi per entrare dal cancello e si diresse verso il centro del cortile, incurante della pioggia torrenziale che lo colpiva e delle profonde pozzanghere, in sostanza laghi in miniatura, in cui gli affondavano i piedi. Si fermò a guardarsi intorno, sistemandosi con la mano libera, la sinistra, i capelli fradici che gli si erano incollati sulla fronte. Individuò e si diresse verso il suo bersaglio: la macchina di quell’orribile colore verde scuro, parcheggiata tra una station wagon grigia e il SUV del gran capo. Impugnò con entrambe le mani l’accetta che aveva portato con sé, inspirò e calò con tutta la forza che aveva un colpo sul lunotto posteriore. La testa dell’attrezzo vi s’infilò sbucando all’interno. Quando la estrasse, piccoli pezzi di vetro si sollevarono nell’aria con essa, lasciando un solco, ampio, ma non quanto se l‘era immaginato, sul lunotto, dentro cui colava l‘acqua piovana. Assestò un altro colpo, poi un altro, poi un altro ancora. Più colpiva più il solco si allargava, più acqua entrava nel pianale posteriore della vettura. Piccoli pezzi si vetro si univano a quelli già caduti, autoalimentando la fenditura già creata. Quando pensò di aver fatto abbastanza danno si spostò sul lato anteriore della vettura, a quello del passeggero e inflisse colpi anche il parabrezza. Dopo aver creato un buco piuttosto ampio, si dirigesse dal lato del passeggero. Colpì anche lì, creando una seconda apertura. Abbatté anche la striscia di vetro che divideva i due buchi, unificandoli e creando un‘unica voragine. Decise allora di dedicarsi ai fanali anteriori. Sfasciò i vetri, riuscendo però a rompere solo la lampadina di destra. Pazienza. Tirò il fiato e puntò lo specchietto retrovisore. Fu in quel momento che, sotto lo scrosciare della pioggia, sentì qualcuno urlare il suo nome. Laura era uscita a fumare, l’aveva visto da lontano, ed era corsa verso di lui, incurante della pioggia. I suoi capelli erano già fradici, il vestito blu inzuppato aderiva al corpo mostrando le sue forme generose e risaltando i capezzoli inturgiditi. Rimase a fissare quello splendore che aveva sempre desiderato per alcuni secondi, per poi scuotersi di colpo.
«Vattene» le disse secco.
«Sei pazzo? Cosa stai facendo? È la macchina di…».
«So benissimo di chi è la macchina» rispose lui alzando l’accetta. «Vattene, non vorrei ti facessi male per sbaglio».
Laura si allontanò, lui vibrò il colpo, tutto il blocco dello specchietto si stacco, rimbalzò per terra, e finì contro la portiera della macchina parcheggiata di fianco, il SUV dell’amministratore delegato. L‘antifurto iniziò a strillare. Laura urlò, e corse verso l’ingresso da cui vide affacciarsi la receptionist e un altro collega, richiamati dagli strani rumori provenienti dal cortile/parcheggio.
«È impazzito» urlò loro Laura.
Alan guardò la portiera del SUV: non sembrava scalfita. Meno male: non era l’automobile di Tafazzi quella che voleva colpire. Con calma si portò verso l’altro specchietto retrovisore. Colpì anch’esso, senza però ottenerne il distacco come con l’altro: rimase penzolante, attaccato per i fili. Con un secondo colpo, lo staccò del tutto, senza che finisse però addosso al veicolo affiancato, la station wagon di cui ignorava l’appartenenza. Decise di dedicarsi ai finestrini laterali: colpì quello del passeggero, con il manico dell’accetta. Ci vollero tre o quattro colpi, ma anche quello fu sistemato. Quando iniziò a dedicarsi a quello posteriore sentì nuovamente delle voci chiamarlo. L’amministratore delegato, il Tafazzi in persona, giunse lì insieme al proprietario dell‘automobile verde, il manager del Reparto Produzione.
«Disgraziato, farabutto! Cosa stai facendo alla mia macchina?» gli urlò quest’ultimo.
«Alan» tuonò autoritario il Tafazzi, «Si allontani immediatamente da lì, e metta via quell’arma!» disse con il suo vezzo di chiamare la gente per nome e dargli del lei.
«Tu sei disoccupato, hai finito di lavorare qui, hai capito?» sbottò di nuovo il manager.
«Karson» cercò di tranquillizzarlo il Tafazzi, «Non ti preoccupare, gli parlo io».
Intanto Alan proseguiva la sua opera di demolizione. Finito con i finestrini laterali, si era accanito sulle luci posteriori: quella di stop era già un ricordo, quella di retromarcia stava patendo il suo turno, e quelle di posizione sarebbero state le prossime.
«Per favore, Alan» lo chiamò di nuovo il Tafazzi, «Che cosa la spinge a fare questo? Un litigio sul lavoro? Non poteva parlare con il suo capo prima di giungere a ciò? Se vuole mi ci metto anch’io, e chiariamo questo fatto, si sarà trattato di sicuro di un malinteso».
«Farabutto» gli urlò il manager Karson, «Disgraziato, sciagurato, mi assicurerò che uscito da qui non lavorerai mai più da nessuna parte».
«Su Karson» gli disse il Tafazzi, «Non peggiori la situazione…».
Intanto Alan aveva finito con le luci, e stava facendo i finestrini laterali. La pioggia, non voleva smettere.
Alle spalle del Tafazzi e Karson, si era radunata una piccola folla, che restava distanziata a guardare, la maggioranza riparandosi con un ombrello, qualche temerario incurante della pioggia. Qualcuno era pure affacciato alle finestre del piano superiore.
«Laura, perché non l’ha fermato?» urlò Karson alla collega che l’aveva chiamato.
«Fermarlo? Ha in mano un’accetta!» rispose lei.
«Chiamate la polizia!» urlò Karson.
«La prego», lo ammonì il Tafazzi, «Non attiriamo cattiva pubblicità sull’azienda!».
Intanto Alan era salito in piedi sul cofano del veicolo e stava scaricando la propria rabbia sul tettuccio della macchina. Al quinto o sesto colpo, il ferro dell’accetta rimase bloccato nel metallo. Karson si gettò verso di lui, afferrandolo per una gamba dei pantaloni e tirandolo. Alan gli mollò un pugno in testa, e, quando mollò la presa, un calcio che lo colpì al petto sbilanciandolo all’indietro. Alan tentò di estrarre l’accetta dal tettuccio, quando Karson lo tirò di nuovo, stavolta per la giacca. Il dipendente scivolò sul metallo bagnato del cofano, e cadde a terra pestando la testa, ed emettendo un rumore sordo. Karson gli fu addosso coprendolo di pugni in volto. I loro colleghi cercarono di separarlo dal suo bersaglio, ma la sua furia cieca impedì loro di riuscirvi. Fu proprio il Tafazzi a immobilizzarlo, grosso e muscoloso com’era. Bloccato l’aggressore, i presenti verificarono le condizioni di Alan. Fu Laura la prima a chinarsi su di lui: vide il volto coperto di lividi, e, cosa che la preoccupò parecchio, il collo piegato in modo innaturale. Lo chiamò, lo scosse dolcemente, avvicinò l’orecchio alla sua bocca. Non sentì uscire alcun respiro.
«È morto» urlò sconvolta a Karson, gettandosi contro di lui per coprirlo di calci e pugni.
Di nuovo, il Tafazzi cercò di respingerla, ma tutti i suoi colleghi la seguirono.
«Tafazzi dovevi chiamare la polizia subito» gridò qualcuno.
«È vero, bastardo, pensi sempre solo all’azienda e mai a noi» fece eco un altro.
«Hanno ammazzato Alan!».
«Brutti bastardi!».
Tutti i dipendenti delle Tafazzi Inc. furono addosso al loro amministratore delegato, il Tafazzi, e al manager del Reparto Produzione, Karson.
Aveva ormai smesso di piovere, ma nessuno se n’era accorto.

19 novembre 2013

TtA #29 - i film che non vedremo mai 3

LA LEGGENDA DELL'ANDROIDE ABRAMO LINCOLN, CACCIATORE DI VAMPIRI.

copertina del libro di Philip Dick, sempre lui.


Louis Rosen,  decide di provare a mettere in vendita un nuovo prodotto: riproduzioni robotiche di americani famosi.
Vengono realizzato il primo prototipo : A. Lincoln, progetto però alterato da Pris Rock, figlia adolescente schizofrenica del socio di Louis.
La replica é talmente perfette da avere una propria personalità, spesso più umana e reale degli umani che li hanno costruiti.
L'androide trova il diario della propria controparte umana e legge  di quando era un ragazzino e vide la propria madre venire uccisa da quello che scoprirà successivamente essere un vampiro di nome Jack Barts.
Decide, insieme a Pris e a  Henry Sturgess, vampiro che vuole vendicarsi degli altri vampiri, di dare la caccia a queste creature della notte. I tre costruiscono la propria base sul monte Rushmore, proprio nella testa di Lincoln, e iniziano così le loro avventure, con Rosen che cerca di catturarlo per venderlo e ottenere il proprio profitto.
 
Il tutto sotto alla colonna sonora di Born To Be Abramo di Elio E Le Storie Tese.

Fronte e Retro #22 - Rosie Jones

Colpevolmente, ve l'avevo proposta solo una volta. Colpevolmente, non l'avevo mai citata in questa rubrica. Colpevolmente, lo faccio con molto ritardo ora.
A parziale perdono, posto ben TRE immagini F&R in un colpo solo.

fronte con riflesso retro... da educanda

retro, con riflesso fronte, più esplicita

fronte con riflesso retro... che lascia poco alla fantasia

Rosie Jones, una delle tante fagiane britanniche in circolazione per il web, l'estate scorsa è stata protagonista di un curioso fatto. I soliti internettiani dell'ultima ora, vedendo questa fotografia, hanno detto "cazzo! Katy Perry si infila la manina sotto il costumino", e in breve si è creato un caso (oggi si dice: "la foto è diventata virale", ma io sono antico). Grossa delusione (perché, poi?) quando si è scoperto che la moretta in questione NON era la cantante ammerregana.
Del resto, oh, sono  somigliantissime!!!! Come fai a non (s)confonderle? Manco fossi un accanito fan di Kate Perry!!! Santo cielo dove andremo a finire.

Tornando a Miss Jones, e facendo un discorso prettamente estetico, durante il quale cercherò di NON essere per nulla becero, credo che per fisico, proporzione corpo/seno, lunghezza (media del taglio dei) capelli, espressività, sia quella che più si avvicina al mio concetto di "bellezza".
Nuff said.

Altre Foto

16 novembre 2013

TtA #28 - gli insoliti casi di Fratello Nicodemo #3

 
QUI l'1 e il 2
 
 
3: IL DEMONE NELLA BOTTIGLIA.


povero Bert!


 
Il proprietario del bar, Adam, cambiò il barilotto della birra e ne spillò un litro dentro all’apposito boccale che porse al frate appena incontrato.
«Offro io, ovviamente» disse Adam.
«Oh, no, guardi, non mi è permesso accettare, mi dispiace ma proprio non posso».
Estrasse dalla manica del saio il portafoglio e tirò fuori una banconota da dieci.
«Bastano?» chiese ad Adam.
«Certo, anzi le devo pure dare il resto».
«Oh, lo tenga come mancia ai camerieri».
Mentre i due parlavano, entrò un uomo sulla quarantina, con un completo grigio che un tempo doveva essere stato elegante, ma che ora era trasandato come il suo indossatore: capelli sporchi, barba sfatta, andatura caracollante.
«Adam, il solito» disse sedendosi di fianco a Nicodemo. Dal modo in cui strascicava le parole, si capiva che era già brillo.
«Bert, non posso…» balbettò Adam, guardando Nicodemo.
«Cosa dici non puoi» rispose Bert, «Voglio il mio solito whisky doppio».
«Bert, dai, stai messo male… non posso darti ancora da bere» ribatté l’altro.
«Che problema c’è, fratello?» si intromise Nicodemo rivolto ad Bert.
«Il prete sta bevendo un litrozzo» insistette questi con il barista, «Un litrozzo di birra al pretino e a me nulla» alzò la voce Bert.
Nicodemo lo squadrò, poi disse , rivolto ad Adam:
«Gli offro io da bere. E se sta male lo porto a casa io. Allora, amico, cosa vuoi scolarti?».
Bert guardò storto Nicodemo, poi disse al barista:
«Molla qua la bottiglia di whisky. Anzi no, ne vogliamo una intera nuova. Una intera nuova per me e il mio amico».
Adam sospirò e porse la bottiglia con due bicchieri ai clienti.
«Io prima finisco la birra, ovviamente» disse Nicodemo.
«Bravo il pretino, che sopporta l’alcool» disse Bert, «Non come la mia ex moglie che non sopportava me e se n’è andata con un avvocato… che le sta pagando la causa di divorzio… e mi sta spennando e io faccio un sacco di straordinari al lavoro, per stare a pari con i soldi… e quando esco avrò diritto a bermi quello che mi va?».
Nicodemo lo guardò sorridendo.
«E il mio capo non vuole» riprese Bert, «Perché dice che se torno a casa ubriaco il giorno dopo non rendo… e ho dimenticato solo tre volte di puntare la sveglia e sono arrivato tardi al lavoro… tre volte in due settimane… in dieci giorni, va bene… ma ti sembra un motivo per… per…»
L’uomo guardò in alto, fece roteare la testa, e si accasciò sul bancone.
«È cotto» disse Nicodemo ad Adam, che però restava immobile.
Si guardò intorno, e notò che tutti quanti stavano fermi, il fumo ristagnava nell’aria e le bollicine della sua birra stavano ferme a metà bicchiere. Anche le lancette dell‘orologio non si muovevano più.
«Mi pare evidente che ci sia qualcosa di strano» disse a voce alta, come se stesse provocando qualcuno per avere una risposta.
«E bravo il pretino» rispose Bert, improvvisamente destatosi, con una voce che non era sua. «Stai esagerando, devi starci lontano».
Poi Bert si riaccasciò, e tutto cominciò a muoversi come prima.
Nicodemo sospirò.
«Lo porto a casa io» disse ad Adam.
«Lei? In taxi?»
«Lei chi? Io lo porto a casa. In moto. Ho un sidecar».
«Ok, come vuole. L’aiuto a portarlo fuori?».
Nicodemo fece cenno di no con la testa e tirò un calcio a Bert che si destò di colpo.
«Vai in bagno, sciacquati il viso, poi ti porto a casa».
Questi lo guardò, inebetito. Fece cenno di assenso con il capo, e si alzò diretto verso la toilette.
«La bottiglia ce la portiamo via» disse Nicodemo lasciando un cinquantone ad Adam. «E per favore» proseguì, «Non fare più la sceneggiata del barista coscienzioso solo perché ci sono io. Tu i tuoi clienti li sfondi di alcool e te ne freghi se stanno male».
Adam non replicò: si chiese solo come potesse qual frate, sapere la verità che aveva cercato di celare.
Bert tornò. Nicodemo lo prese per un braccio mentre con la mano libera reggeva la bottiglia.
Lo accompagnò alla moto, tirò fuori dal portaoggetti due caschi, si mise il suo e porse l’altro ad Bert, che lo guardò come fosse un oggetto sconosciuto.
«Uhm, magari per stavolta non lo metti, eh? Non vorrei che ci vomitassi dentro. Sarebbe una storia divertente da raccontare tra qualche anno agli amici, ma imbarazzante sul momento. Ok?».
Bert annuì.
«Reggi la bottiglia. Non romperla, perderla o lanciarla per strada. E non aprirla per bere. E non romperla, mi raccomando. Dove ti porto?».
«Abito al motel Palissandro» disse con tono meno ebete di prima. L’aria fresca della sera doveva averlo almeno un po’ risvegliato.
«Il glorioso motel Palissandro. Dove va chi deve vedere l’amante, chi non ha un posto dove stare con la fidanzata, chi non ha una casa propria, come me…».
«Sì sì va bene» gli disse Nicodemo per interromperlo, «Metti il casco e partiamo».
I suoi guai li aveva già sentiti, non aveva voglia di sciropparsi un altro pippone.

Lo accompagnò a destinazione, e rimase ad osservarlo mentre entrava nell’edificio dopo essersi fatto riconsegnare la bottiglia. Poi si diresse sempre in moto verso un parco intravisto durante il viaggio. Il posto era desolato. Vi entrò con il veicolo, nonostante sapesse che non si poteva. Si fermò in uno spiazzo nascosto alla vista di possibili passanti, e tirò fuori la famigerata bottiglia che aveva adagiato sul fondo del sidecar.
«Il casco che uso io di solito è aperto», disse parlando tra sé, «Avrei potuto offrirlo a Bert, al posto di quello chiuso che tengo per i passeggeri. Che sciocco sono stato».
«Ma allora non sarebbe stato più il tuo casco» disse una voce simile a quella udita al bar.
«Oh, rieccoti» rispose Nicodemo rivolto alla bottiglia, mentre la riponeva su una panchina lì vicina.
«Se presti una cosa a cui tieni a qualcuno» riprese la voce, «Poi è come se fosse meno tua».
«È per questo che volevi che non ti “rubassi” Bert?».
«L’ho puntato da un bel po’. Non me lo soffi sotto al naso».
«Come funziona la cosa dei “demoni nella bottiglia“? Entrate in una bottiglia a caso e chi vi becca peggio per lui, o cercate i disperati e li tormentate ulteriormente passando di bottiglia in bottiglia?».
«Semplicemente offriamo sollievo alle pene di chi ha bisogno» rispose l’altro con tono seccato.
«Per poi peggiorare la situazione? Come società di servizi fate parecchio schifo».
«Sono gli uomini gli unici artefici del loro destino. Il libero arbitrio e bla bla bla».
«E voi fate i castigamatti?».
«Mi piace come definizione. Potremmo dire così».
«Però poi io castigo voi».
«Appunto: hai recepito il messaggio che ti ho dato al bar? Stai infastidendo il mio boss. Potresti cortesemente rompere le palle a qualcun altro? Ci sono tanti demoni all‘inferno».
«Quindi potrei lasciare in pace il tuo capo e occuparmi di qualcun altro? Qualcun altro, per esempio, che gli mette i bastoni tra le ruote nella grande scalata sociale alle gerarchie degli inferi?».
«Sì, non sarebbe male».
«E secondo te lo farei così a gratis?».
«Ciccio, ci sono persone che si corrompono e persone che si minacciano. A quale categoria preferisci appartenere?».
«E dovrei sentirmi minacciato da un trucchetto di possessione e stasi temporale come quello del bar?».
«Sì forse ti ho sottovalutato».
Nicodemo scosse il capo, estrasse dalla manica l‘aspersorium, ma lo trovò vuoto. Si avviò a una fontanella lì vicino e lo riempì.
«Che fai?» chiese il demone.
«Niente, niente, stai tranquillo dentro la tua bottiglia».
«Che diavolo stai facendo?» urlò terrorizzato il demone.
«Faccio quello che va fatto».
Nicodemo recitò la formula per benedire l’acqua, scosse un po’ l’aspersorium e si avvicinò alla bottiglia.
«Se la shakero un po’, viene benedetta meglio».
«Fermo, non puoi, lo sai che se stappi la bottiglia…».
«Ti sei manifestato dentro a Bert, poi sei tornato nella bottiglia. Ora farò in modo che tu non esca più di lì».
Velocemente, Nicodemo stappò la bottiglia e vi versò dentro l’acqua benedetta contenuta nell’aspersorio. Il demone lanciò un urlo che stordì il frate, che cadde all’indietro. Vide la bottiglia tremare, il suo interno diventare luminoso, e fare schiuma marrone che con un rombo schizzò verso l’alto per poi ricadere verso terra e bagnare un’area del diametro di una decina di metri, inzuppando pure lui stesso.
«Meglio delle Mentos nella Coca Cola» disse.
Si rialzò lentamente e non senza smorfie di dolore. Prese la bottiglia, e la ruppe per terra.
«Non credo che sia saggio farti riciclare».
Poi si infilò il casco e accese la moto.
«Doccia, nanna…e domani mattina lavare moto e saio. Diamine».



 

 

15 novembre 2013

recensioni: BED TIME + IN TRANCE

BAD TIME
 
e non è il peggio che le ha fatto

Cesar, un grigio e triste portiere di condominio, che c'ha tutte le sfighe di questo mondo, decide di fare il bel faccino  con i suoi condomini, e alle loro spalle fa il bastardo. In particolare ce l'ha su con Clara, (interpretata da una magnifica Marta Etura ), solare e sempre sorridente giovane ragazza,  nell'appartamento della quale si nasconde ogni notte per... 
Il film è claustrofobico, va a pescare tra i personaggi che possono vivere in e intorno ad un condominio (la signora sola e gentile con tutti, la bambina bastarda e il suo paparino isterico, il vecchietto stronzo, i distaccati impiegati d'ufficio, la signora delle pulizie e suo figlio che l'aiuta). Il portinaio li odia tutti, come già detto, e trova i peggiori modi per tormentarli. Lo fa pure con la madre anziana che vegeta in ospedale, che lui va a trovare tutti i giorni per aggiornarla sulle proprie malefatte.
Film narrato dalla parte del "cattivo", per il quale provi pena e per il quale stranamente ti trovi a parteggiare... Arrivati però alla fine, di fronte alla duplice distruzione di Clara, e alla vittoria di Cesar, non riesci a essere contento per quest'ultimo, che trova la felicità solo donando l'eterna infelicità alla ragazza.



IN TRANCE

ho sempre desiderato andare dalla psicologa

Se avete visto Inception e vi siete persi tra un sogno e l'altro o se avete avuto bisogno di Wikipedia per capire Donnie Darko, lasciate stare, questo film non fa per voi. Ed è uno di quei film che a spiegarvi la trama, vi si spiega il film (anche se non puoi dire di averlo capito completamente) e si manda a quel paese il gusto di vederlo.
Posso dirvi che si inizia alla grande con grande regia, grande azione, grandi musiche. A metà c'è tutta la menata dell'ipnosi, e ci si perde completamente. Poi il finale spiega tutto, ma proprio tutto (ma tanto si fa fatica a capire lo stesso), e ritorna ad essere stilisticamente bello come l'inizio.
In mezzo a tutto ciò, l'ipnotica e ipnotizzatrice Rosario Dawson fa bella mostra di sé una due  e tre volte (la sequenza dovrebbe essere corretta). Soprattutto la terza, sarebbe degna di uno dei migliori Fronte & Retro di questo blog (anche se sarebbe più corretto dire "da sotto a sopra", in questo caso).
. Film da rivedere più volte: per capirlo, per carpirlo, per gustarlo meglio. Potrebbe essere un capolavoro. Non ne sono sicuro. Devo rivederlo per capirlo, carpirlo e gustarlo meglio.

11 novembre 2013

Recensioni: LE IENE + PULP FICTION

Ci sono cose che fanno parte della "cultura generale" e che sono talmente diffuse che se non le sai sei tagliato fuori. Puoi  dire orgogliosamente "ma che ne so io di queste coseeeeee" fingendo di celare la tua superiorità per non farti trattare come un emarginato.
Oppure puoi frequentare corsi di aggiornamento e riportarti alla pari. Talvolta conformandoti alla massa per pura formalità altre scoprendo un mondo che ti eri perso.
Di recente ho avuto modo di vedere i due film tarantiniani di cui sopra spinto dalla curiosità in quanto veri e propri meme, e perché gente a me vicina ne ha tessuto lodi infinite (soprattutto per PF).
 
non potete non aver MAI quest'immagne!!!!
 
 
 
Due prodotti di assoluta qualità e ottima rifinitura, con trame coinvolgenti e personaggi ben costruiti. I dialoghi "particolari" (cui lo scrittore di fumetti Brian Micheal Bendis deve molto, seppur con uno stile diverso) sono l'arma a doppio taglio... a me personalmente piacciono, ma riconosco che ad altri (aka "menti meno raffinate") potrebbero risultare ostici. Altro tratto distintivo del regista Quentin Tarantino, il turpiloquio e la violenza. Il primo un po' di fastidio ammetto me lo dia (anche se sembra far parte di uno slang tutto americano), la seconda, con tutta il sangue versato, invece no.
Le Iene è più "rigoroso", Pulp Fiction si prende meno sul serio (la scena degli assraper  però è stata decisamente un'esagerazione).
Ma alla fine, cosa rimane? C'è un messaggio, una morale, qualcosa che dovrebbe lasciarti pensare? A me personalmente, no, o per lo meno non lo trovo... Ecco: l'unica debolezza di questi due ottime opere, che non le fa diventare capolavoro, è proprio questa.
 
Ci rivediamo dopo la visione di Kill Bill (non trattenete il respiro, nel frattempo).

10 novembre 2013

F&R #21 - Jaimie Alexander

So che ha interpretato Lady Sif in Thor,
so che reinterpreterà Lady Sif in Thor - The Dark World
so che alla premiére del film si è presentata così:


il quadratino... fa parte del vestito???
Sicché si merita una giusta apparizione in questa rubrica, visto che c'è gente che vi è apparsa per molto meno.
Se avrà di fronte una sfolgorante carriera cinematografica o sarà irrimediabilmente legata al ruolo (secondario) del personaggio asgardiano, non sappiamo predirlo. Fatto sta che, fuori dallo schermo, sa come farsi notare.
Ah, per la cronaca va detto (o ricordato, non so se l'ho già scritto altrove) che personalmente non apprezzo chi va in giro senza mutante (mi da l'idea di voncione/a): questo è uno strappo alla regola.

09 novembre 2013

08 novembre 2013

Nati (come me) l'8 Novembre

Quest'anno non avevo intenzione di scrivere post celebrativi, poi ho scoperto che Hermann Rorschach, quello delle macchie,  (non quello di Watchmen) è nato il mio stesso giorno.

Così, andando a spulciare su Wikipedia, ho trovato l'elenco dei nati l'8 di Novembre, e ho deciso di condividerlo con voi.
Siccome so già che NON avrete voglia di spulciarvi la lista completa, posso dirvi che festeggio insieme a
Joe Cole, calciatore inglese (1981)
Salvatore Cascio, attore e personaggio televisivo italiano (1979) (nuovo cinema paradiso)
Tara Reid, attrice e produttrice cinematografica statunitense (1975)
Courtney Thorne-Smith, attrice statunitense (1967)
Marco Balestri, autore televisivo e conduttore radiofonico italiano (1953)
Guus Hiddink, allenatore di calcio, dirigente sportivo e ex calciatore olandese (1946)
Sandro Mazzola, dirigente sportivo e ex calciatore italiano (1942)
Giovanni Rana, imprenditore italiano (1937)
Alain Delon, attore e regista francese (1935)
Paolo Taviani, regista italiano (1931)
Franco Bignotti, fumettista italiano (1929)
Hermann Rorschach, psichiatra svizzero (1884)
Bram Stoker, scrittore irlandese (1847)
Edmond Halley, astronomo, matematico e fisico inglese (1656) (quello della cometa)
e, fanculo, pure Marco Cocceio Nerva, imperatore romano (30)
Almeno, questi sono quelli che conosco io, per "meriti" più o meno alti. Sicuramente me n'è scappato qualcuno.

05 novembre 2013

Giù le mani dalle... noci? :-/

il gioco di parole in italiano non rende
 
Aldi là del gioco di parole, in questo articoletto c'è una grande verità: le riviste in questione portano "gioa" anche alle donne. Le modelle che si fanno pagare per apparirvi e le ragazze qualunque che mandano i loro autoscatti.
E non si dica che sono "vittime del sistema", perché ne fanno consapevolmente parte. Ci sono persone, sia uomini che donne, che, piuttosto che studiare, cercare un posto da impiegato/a, cassiere/a preferiscono fare "carriera" come modelle/i, e quando trovano riviste come quella sopra indicata, è grasso che cola. Che poi, è come voler fare l'attore/trice, o lo/la sportiva, il/la musicista.  Mantenere "il fisico" è un po' come studiare recitazione, imparare a suonare uno strumento o mantenere alto il rendimento atletico.
 Oppure, a volte, questa resta la terzultima via, perché non si ha avuta la voglia di studiare e si è ormai analfabeti di ritorno. O forse non si avevano le capacità di studiare, e si è voluto/preferito puntare su altro. Oppure si è studiato, ma si preferisce lo stesso fare altro (per aver visto troppa tv spazzatura, aver letto le riviste sbagliate o perché semplicemente si è figli del nostro tempo). Mi viene da chiedere cosa hai studiato a fare, allora, ma tant'è.
Per la cronaca, la penultima via sarebbe quella di fare gli impiegati, i commessi, i cassieri. Ma lo si ritiene troppo degradante, e quindi si sfrutta l'avvenenza fisica (o presunta tale... avete mai visto le ormai classiche fotografia dei "vip senza trucco"?).
L'ultima via sarebbe quella della criminalità, con i diversi gradi di degradazione di sé stessi e della società.
Io non trovo scandaloso che gente del genere esista e sfrutti la propria apparenza (beato te che sei nato/a così), penso solo che sia il modo in cui il mondo va. Del resto, sarei ipocrita a dire il contrario, vista una certa rubrica che tengo proprio qui... Non sono uno di quelli che potrebbero campare a quel modo, e non dico che non lo farei se lo fossi. Solo non provo quel disappunto o quell'invidia che sembrano provare certi "haters", come si dice ormai su internet. Anzi, a tv e computer acceso, usufruisco. Poi, una volta spenti, si torna a vivere nel mondo reale, dove l'apparenza è per me solo un orpello: i valori cui do importanza sono altri.



04 novembre 2013

TtA #26 - TdV #2 - la furia di Testa di Vespa

TESTA DI VESPA #02
immaginate che una cosa del genere sia la TESTA di un uomo
 
LA FURIA DI TESTA DI VESPA


La fuga di Adrian durò tutta la notte. Volò per la città, senza meta, impaurito di quello che era diventato e quello che sarebbe potuta diventare la sua vita. Si immaginò braccato dall’esercito, legato ad un tavolo per essere sezionato da scienziati pazzi, esibito nel freak show del tendone di un circo. In lontananza sentì il rotare delle pale di un elicottero. Temendo le forze dell’ordine si fossero già mobilitate alla sua ricerca, decise di fuggire verso la campagna. Quasi istintivamente si diresse verso il luogo dove era stato punto quel pomeriggio.

“Quel maledetto insetto” pensò, “Qualunque bestia fosse, mi ha fatto qualcosa! Lo troverò e… e…”.

Si bloccò rendendosi conto di quanto fossero ridicoli i suoi pensieri.

“Che cazzo voglio fare? Che possibilità ho di ritrovare proprio quella vespa? E se la trovo cosa faccio? La schiaccio e ritorno normale? Non penso proprio. Potrei chiederle di insegnarmi come costruire un nido. Posso parlare con le vespe e gli insetti? Possiedo poteri di qualche tipo, a parte avere una testa di vespa che mi fa volare? Che tra l’altro, visto come sono fatto, con la testa di vespa e il corpo di uomo, praticamente volando dovrei autoimpiccarmi. Oddio! Morirò auto impiccato o ucciso dal DDT e se mi va bene non avrò più amici né fidanzate. A meno che non mi fidanzi con una vespa. Esisteranno vespe regine come con le api regine o… oddio, sono una testa di vespa e non so nulla delle vespe. Dovrei andare a documentarmi. Ma come faccio? Se entro a casa mia, ai miei piglia un infarto. E se vado in un internet point… di sicuro non mi faranno entrare. Oddio! Mio padre! Mi ha visto in queste condizioni…”.

Un lontano rumore di automobile interruppe i suoi pensieri. Si nascose dietro ad un albero, e osservò in lontananza una piccola carovana di sei macchine dirigersi verso la cascina di coloro che aveva chiamato “i fanatici del biologico“.

“uhm… potrei chiedere loro di accogliermi. Voglio dire, se sono amanti dei prodotto biologici dovrebbero essere anche naturalisti. E cosa c’è di più naturalista che accogliere un uomo vespa? Cioè, un uomo con la testa di vespa?”

Si sollevò in volo, e arrivato alla cascina, vide che le automobili in realtà erano sei furgoncini da trasporto. Vide una ventina di uomini in tutto scaricare dei fusti di metallo, e trascinarli verso la campagna.

«State attenti a quella porcheria» urlò quello che sembrava essere il capo, un uomo basso, grassoccio e calvo. «Ricordatevi che non è roba salutare».

«Cacchio, capo» gli disse uno degli altri, magro e alto, «Passi che è una porcheria, ma proprio di notte dobbiamo trasportarla?».

«Cazzo, sei un demente! Vuoi farlo in pieno giorno? E se qualcuno ci vede? Siamo un’ecomafia, abbiamo un duro lavoro da fare, ma rende! Muovi il culo e trasporta quel coso».

“Ecomafia? Ho sentito bene? Ma non dovevano essere patiti del biologico?” pensò Adrian, che continuava a spiarli nascosto.

Gli uomini si addentrarono nella campagna trascinando alcuni fusti di plastica, illuminando la strada con torce elettriche.

«Seppelliamo tutto qui. È una delle poche zone rimaste libere» disse il capo ridendo.

«Ma qui è dove c’erano le vespe» protestò lo stesso uomo di prima.

«Le ho fatte fuori io oggi pomeriggio» disse un terzo.

«E comunque anche se non le avesse fatte fuori lui» riprese il capo «Ci avrebbero pensato le schifezze».

«Però non capisco: sappiamo che i campi sono contaminati, perché li coltiviamo e vendiamo patate, frutta e verdure spacciandole per biologiche?» chiese ancora l‘uomo alto e magro. Non doveva essere troppo sveglio.

«Perché siamo fottuti bastardi» rispose il capo sghignazzando. Gli altri uomini gli fecero coro con una sonora risata.

Uno degli altri uomini distribuì badili e vanghe a tutti. Camminando, inciampò in una radice, urtò uno dei fusti, che cadde a terra scoperchiandosi, e versando il proprio contenuto giallognolo fluorescente.

Adrian aveva sentito e visto abbastanza per quanto potesse sopprotare: infuriatosi, decise di attaccare il gruppo!

«Maledetti!» urlò, «Voi avete avvelenato la natura, e lei ha mandato me per punirvi!».

Gli uomini, sentendo un ronzare indistinto nell’aria, illuminarono con le torce il cielo alle loro spalle e rimasero a bocca aperta nel vedere l‘uomo con la testa di vespa.

«Capo, e questo chi è?» disse uno.

«E io che ne so? Stendiamolo, poi gli facciamo domande».

Il gruppo iniziò a lanciargli sassi raccolti da terra. Qualcuno provò a tirargli il badile che aveva in mano, mancandolo.

Adrian reagì appallottolandosi in modo che il proprio gastro [parte posteriore della vespa, NdAutore] puntasse i nemici. Sparò uno dopo l’altro una serie di pungiglioni che per la maggior parte andarono a segno, causando forti dolori e gonfiori istantanei e quasi bizzarri ai bersagliati. Questi si gettarono a terra in preda all’agonia, mentre i pochi risparmiati fuggirono verso le automobili. Adrian li precedette: atterrò davanti ai veicoli, ne sollevò uno e lo gettò contro un altro. Ne ribaltò un terzo, e con gli artigli spuntatigli sulle mani, squarciò i pneumatici dei restanti.

«Bastardo!» gli urlò il capo della banda, estraendo una pistola e sparandogli contro. Il proiettile fece centro, ma rimbalzò sulla sua pelle. Adrian iniziò a fare vibrare le ali: creò un suono così forte da stordire gli avversari, rompere i finestrini dei veicoli ancora intatti, staccare parte dell’intonaco della cascina e risvegliare tutti gli animali in un raggio di un chilometro. Vespe, api e calabroni si levarono in volo e accorsero sul posto, pungendo indistintamente i membri della banda.

«Basta, basta!» urlò il capo.

Adrian cessò la vibrazione e gli si avvicinò con un breve volo. Gli parò dicendogli qualcosa che l’uomo percepì solo come un minaccioso ronzio.

«Ti prego, basta, basta, mi costituisco!>. Estrasse il cellulare e chiamò i carabinieri.

«Vi prego, venite a portarmi in galera. Insieme ad un ambulanza» disse dopo aver spiegato tutto.



Adrian si appollaiò sul tetto della cascina, fino all’arrivo a sirene spiegate di una nutrita pattuglia di carabinieri armati di tutto punto. Il mafioso e i pochi suoi sottoposti in grado di camminare gli si fecero incontro a mani alzate. Il comandante dei carabinieri gli disse qualcosa, e l’uomo indicò verso l’alto. Adrian spiccò il volo insieme al nugolo di vespe, api e calabroni che lo avevano aiutato nell’impresa.

02 novembre 2013

Baustelle - Monumentale




I cimiteri non danno pensieri,
sei tu che ti sbagli, se stanco, disperi
E piangi per colmare i buchi dell’assenza,
vive come il pieno la vacanza e non spira mai.
Quindi lascia perdere i dibattiti,
la rete, i palinsesti
per un giorno non studiare,
non chattare, ma piuttosto
stringi forte chi ti ama,
fra le mute tombe del monumentale,
non c’è Dio e non c’è male, solo vaga oscurità.
I camposanti non hanno rimpianti,
sei tu che li covi, li rendi fantasmi,
li canti per sentirne meno la mancanza,
come non bastasse l’esistenza e l’eco che fa.
Giace qui ad libitum la tua imbecillità.
Quindi lascia perdere i programmi
coi talenti, i palinsesti,
per piacere non andare a navigare sulla rete,
stringi forte chi ti vuole bene
tra le tombe del monumentale,
trovi Dio, trovi Montale, ed un’opaca infinità.
Quindi lascia perdere i salotti
coi talenti e le baldracche,
vieni all’ombra dei cipressi
dona amore, al pomeriggio
a chi sospende la sua vita
tra le urne amiche del monumentale,
di realtà e d’irreale, vieni a fartene un’idea.

Leggi qui: http://www.rnbjunk.com/testo-monumentale-baustelle-989/#ixzz2Uck35b7n

01 novembre 2013

TtA # 25 - La Singolare Associazione

GIOVEDI’ 30 OTTOBRE, MATTINA.

non necessariamente la nostra protagonista
Miriam aveva appena ricevuto la conferma per il volo prenotato dal direttore Tafazzi, quando Marta fece capolino al di là dal bancone della reception con il suo solito sguardo incazzato.
«Posso aiutarti?» chiese.
«Ti ho già detto che quando mi passi le telefonate, devi dirmi chi è e perché mi cercano».
«Lo sai che il direttore vuole che le telefonate siano passate subito al destinatario senza chiedere nulla», rispose timidamente Miriam.
«Io però voglio sapere chi sia a chiamarmi in anticipo».
«Se il capo mi sente rischio che si arrabbi e potrei passare dei guai» rispose cercando di essere gentile.
«Trovo veramente scortese il tuo non volermi venire incontro in questa piccola cosa» ribatté l‘altra piccata. «Qui si lavora tutti insieme, per lo stesso scopo. Non vedo perché non dovresti fare questa cosa che ti ho chiesto».
Miriam, mantenne la calma e guardò la collega.
«Va bene, da oggi farò come da tua richiesta. Però se poi il capo o qualcuno per lui mi dice qualcosa, tu vieni a difendermi, vero?».
Marta trattenne il fiato per non esplodere, pensando a come rispondere a quella che considerava un’insolenza da parte della collega. Prima che potesse arrivare a una conclusione, si spalancò la porta d‘ingresso, e apparve il direttore Tafazzi. Le si dipinse in volto un sorriso, e gli andò incontro.
«Pietro! Allora, com’è andata la colazione di lavoro? Vedo che ti hanno fatto fare tardi!».
«Oh, sì, Marta, non me ne parli! Un vero tedio. Ma ci porterà un sacco di lavoro in più. Le voglio affidare questa nuova sfida. Venga da me prima di andare in pausa pranzo, le spiegherò. Non sarà un lavoro lungo, se ci si mette tutto sabato e almeno mezza giornata di domenica, lunedì avrà tutto pronto per la presentazione della nostra ditta al cliente».
«Come… ma… ma…».
«Ha sempre detto di poter dare molto all’azienda, che quanto fa è ancora poco, giusto? Bene: finalmente potrà dimostrarlo!».
Il direttore diede una pacca sulla spalla a Marta e poi si rivolse a Miriam.
«Come sta la nostra neo assunta? Lo sa, Marta, che la nostra piccola Miriam ieri è passata al contratto a tempo indeterminato? Dolcezza ma fermezza nelle risposte… quante persone oggi giorno sanno fare così? Una vera dipendente modello!».
Miriam arrossì e porse al suo capo l’agenda.
«Troppo buono, direttore» disse, per poi cambiare discorso: «Il volo che mi aveva richiesto è stato prenotato. Inoltre ho cambiato la data di quei due appuntamenti. E ho già chiamato l’idraulico, c’è uno sciacquone che non si ferma più nel bagno degli uomini. Me l‘ha fatta notare Marco».
«Oh, che seccatura. Va bene, grazie Miriam».
L’uomo se ne andò nel suo ufficio facendo un cortese cenno di saluto a entrambe le dipendenti.
«Io… questo fine settimana… avevo da fare…» disse Marta a voce bassa, fissando il vuoto.
Miriam avrebbe voluto dirle qualcosa per incoraggiarla.
«Un bicchiere d‘acqua?» fu l’unica cosa che le venne in mente.
Marta la guardò infuriata, si girò senza rispondere e si avviò verso il proprio ufficio.
La centralinista guardò la collega allontanarsi temendo che se la fosse legata al dito e gliel’avrebbe fatta pagare, prima o poi. Fu in quel momento che dalla porta del reparto Contabilità sbucò Laura.
«Tutto a posto? Che è successo?».
«Marta mi stava facendo uno dei suoi soliti rimproveri, quando è arrivato il capo e le ha appioppato lavoro extra».
«Ho sentito però anche delle lodi nei tuoi confronti» rispose l’altra con aria maliziosa.
«No, dai, solo perché sono appena stata promossa ha detto qualcosa per incoraggiarmi» rispose Miriam arrossendo ancora di più.
«Oh, la modesta! Hai fatto due anni di stage, senza impazzire, senza ammazzare nessuno, senza combinare casini e senza mai scoppiare in lacrime al contrario di quello che succede a molti: l’assunzione te la sei guadagnata!».
«Niente di speciale» insistette Miriam abbassando lo sguardo.
«Dai, venerdì sera andiamo a festeggiare».
«Cosa?».
«Sì, dai! Ti porto in un posto… esagerato!».
«Venerdì sarà Halloween. Non vuoi portarmi a una festa in maschera, vero?»
«Sì che ti ci porto! Trova un travestimento adatto, mi raccomando!».
«Ti informo che io non ballo né mi maschero!».
«Hai fatto due anni di stage? Sopravvivrai a un ballo in maschera!» disse l’altra allontanandosi.

 

 

 

VENERDI’ 31 OTTOBRE, SERA

Il campanello dell’appartamento di Laura suonò vivacemente. La ragazza corse verso la porta, e quando l’aprì vide un lenzuolo bianco con disegnati sopra due occhi e una bocca, e con uno strappo che faceva da buco per respirare.
«Come ti sembra?» disse la voce soffocata proveniente dall’interno.
«Devo essere sincera?» .
«Non ti piace?» chiese Miriam delusa, sbucando da sotto la stoffa.
«No, sì, insomma. Pensavo a qualcosa di più trasgressivo».
Miriam squadrò la collega e amica. Vestiva un abito scuro con una profonda scollatura sovrastato da un mantello nero, era truccata in modo da sembrare pallidissima, e aveva un appariscente rossetto di un colore acceso sulle labbra.
«Vampira?».
La ragazza rispose applicando dei finti canini ai denti.
«E non hai ancora visto le lenti a contatto rosse. Dai entra!».
Miriam visitava per la prima volta la casa di Laura. Un salotto con cucina abitabile dove il caos regnava sovrano: bicchieri pieni a metà su ogni ripiano libero, qua e là un vestito, un paio di scarpe sotto il tavolo, televisore acceso con volume azzerato, la porta del bagno lasciata aperta.
«Carina la casa».
«Bugiarda».
La fece accomodare sul campo da battaglia che doveva essere il suo divano e le porse un bicchiere contenente ghiaccio e un liquido di un colore strano.
«Cos’è?» chiese Miriam preoccupata.
«Bevi e non fare storie».
La ragazza annusò il contenuto del bicchiere, e fece una faccia schifata.
«Cin Cin!» disse Laura trangugiando tutto di un fiato.
«Cin Cin» ripeté lei poco convinta.
Bevve il primo sorso e fece una faccia ancor più schifata di prima.
«È buonissimo, vero? È una mia invenzione».
Miriam sorrise e bevve un altro sorso.
«Non è alcolico, vero?».
«Certo che sì, per chi mi hai preso?».
La ragazza bevve un altro sorso e posò il bicchiere sul tavolino, tra una rivista cinematografica e una pila di cd masterizzati.
«Non voglio esagerare, ora. La notte è ancora giovane».
«Va bene. Dai, andiamo, lo Sparkle Lounge non è lontano, ma ci sarà sicuramente coda per entrare».
«Oh! Non vedo l’ora» rispose l‘altra ironica.

 


non necessariamente la nostra festa
Un’ora dopo la vampira e la fantasmina erano in fila all’ingresso del locale, in mezzo ad una schiera di zombie, mummie, alieni, scienziati pazzi, mostri di Frankenstein e qualsiasi cosa la mente malata umana fosse stata in grado di partorire.
«Oddio, nasconditi!» disse Laura parandosi dietro a Miriam.
«Che c’è?».
«Chi c’è! Marta!».
«Dov’è? Andiamo a salutarla!».
«Ma sei fuori? Quella stronza? Non ho voglia di vederla stasera!».
«Magari fuori dall’ufficio è simpatica».
«Zitta».
Miriam si calò sotto il lenzuolo ammirando Marta mentre passava vestita con un cappello a punta, un cortissimo vestito nero e scarpe con tacchi altissimi. S’intravedeva l’elastico delle autoreggenti. Quando fu abbastanza lontana, Laura riprese a parlarne.
«Solo da strega poteva vestirsi quella stronza».
«Cattiva».
«Sì, da strega cattiva».
«No, dicevo che tu sei cattiva».
«Oh, senti, al lavoro ci tratta tutti come delle merde… crede di essere intelligente solo lei… ma quando c’è qualche problema scarica tutto addosso agli altri. Come la chiami una così?».
«Effettivamente un po’ cattivella lo è».
«No: si dice figa di legno. E poi non ti ricordi la sceneggiata che ti ha fatto solo ieri?».
«Però, scusa, se abbiamo scelto di passare la serata nello stesso locale, potrebbe non essere così diversa da noi. Magari vedremo un suo lato che non conoscevamo e scopriremo di avere molto in comune».
«Magari troviamo un modo per sputtanarla davanti a tutti» suggerì Laura con tono malizioso.
«Cosa?».
«Non ti piacerebbe cancellare per sempre quello sguardo da gran donna dalla sua faccia?».
«Sì, però…».
«Però, stasera la seguiamo e scattiamo qualche foto compromettente».
«C’è un piccolo problema: lei è andata diretta dal buttafuori che l’ha fatta entrare. Noi siamo ancora qui».
«Potresti far vedere le tette al buttafuori per farci passare avanti».
«Non ci penso proprio. Fallo tu, piuttosto!».
«Hai ragione, meglio aspettare.».

 

Dopo una lunga attesa, Laura trascinò Miriam all’interno del locale, tra musica assordante, festoni, gomitate, luci accecanti, ritmi sincopati, spallate, odore di chiuso, sudore e spintoni.
«Non la trovo» urlò Laura.
«Non ti sento!».
«Ho detto che non la trovo!».
«Vado al bancone del bar a farmi un drink» disse Miriam per allontanarsi dall’amica ossessionata da Marta.
«Ottima idea andiamo a cercarla là!».
«Ma io volevo solo bere!»
«Cosa? Non ti sento con questo rumore!»
«Ottima idea, accompagnami!» ribatté Laura trascinando Miriam per un braccio.
Infilandosi tra la ressa, giunsero finalmente al bancone. Miriam era interessata a quale cocktail analcolico ordinare, Laura continuava a cercare tra la folla la sua preda.
«Fa caldissimo, è stata una pessima idea calarmi sotto a un lenzuolo» disse Miriam cercando ancora di distrarre Laura.
«Eccola!» urlò questa, indicando un punto distante della sala.
Su un piano rialzato, erano sistemati dei divanetti: Marta era là insieme a un gruppetto di ragazze e un uomo castano di bell’aspetto, alto e robusto.
«In compagnia di tante ragazze e un solo uomo. Che sfigata».
«Va bene, a noi che ce ne frega?».
«Fa tanto la figa, si dà tanto l’aria di mangiatrice di uomini, poi deve dividerne uno solo con altre sei».
«Magari stasera se lo pappano un pezzo per una».
Laura la guardò di sbieco.
«Sai cosa faccio stasera?» le disse, «Appena il tipo scende dal privè, ci provo con lui».
«Cosa?».
«Ho detto che appena il tipo scende, ci provo con lui».
«Avevo capito. Ho chiesto “cosa?” perché mi sembrava una fesseria».
Laura scostò il mantello, tirò in dentro la pancia e in fuori il petto.
«Pensi che non possa fregarle il tipo? Io sono più giovane, e ho più seno».
«Tu puoi fare quello che vuoi, solo mi sembra una fesseria. E una cattiveria: ti abbasseresti al suo livello. E poi, l‘hai vista come cammina su quei tacchi?».
Laura la guardò ancora di sbieco.
«Affare fatto» rispose più convinta di prima «Appena si alzano, tu vai a salutarla per distrarla, ed io accalappio il tipo».
«E tutte le altre donne con lui?».
«Oddio: dici che sono tutte prostitute con il loro magnaccia? Perché da Marta me lo aspetterei».
«Temo che stasera non porterà nulla di buono».

 

 

Un quarto d’ora dopo, Miriam vide il misterioso uomo alzarsi dal divanetto e scendere le scalinate. Pregò che Laura non se ne accorgesse risparmiandosi e risparmiandole qualche brutta figura, ma purtroppo non fu così.
«Scende!» urlò l‘amica. «Io vado. Tieni d’occhio Marta e se si aggira in zona sai cosa fare!».
«Va bene» rispose lei sbuffando.
Miriam la osservò correre verso di lui, urtarlo facendolo sembrare un caso e dirgli qualcosa, come per scusarsi, mentre scostava il mantello e metteva in mostra la scollatura. L’uomo le diede un bello sguardo, poi con un cenno si accommiatò, in direzione del bagno degli uomini. Le scappò quasi da ridere per la goffaggine di Laura… la quale, non dandosi per vinta, si appostò davanti alla porta per aspettarlo. Miriam sospirò, si voltò dall’altra parte e vide che Marta non era più seduta tra le altre ragazze al privè.
Oddio” pensò… “E ora?”. La cercò con lo sguardo in mezzo alla folla, quando la vide procedere in direzione di Laura. Sapeva di dover fare da “distrazione”, ma non sapeva come… Decise di imitare l‘amica: indossò il suo lenzuolo da fantasma e corse in direzione della donna e la urtò “per caso”.
«Ma che diavolo fai?» le urlò questa.
«Oh, mi scusi, sa, con questo costume non vedo molto bene!» disse cercando di essere il più convincente possibile. «Ma… Marta, cosa ci fai qui?» chiese togliendosi il lenzuolo di dosso. «Ma che bello vederti, sai, sono qui con Laura… stiamo festeggiando la mia assunzione. Oddio, io mi sarei accontentata di una pizza o un ristorante cinese o un kebab ma lei ha tanto insistito. Poi è Halloween, sai, succede solo una volta l’anno e ho detto: “perché no? Divertiamoci!”. E tu cosa fai qui?».
«Lo so che sei qui con quell’altra» rispose la donna. «Vi ho viste far la coda all‘ingresso».
«Oh, potevi farci entrare insieme a te, allora. Abbiamo fatto una fila lunghissima».
«Anche mascherate siete ordinarie come sempre, noto» proseguì lei ignorando il commento ricevuto. «Tu almeno ci hai messo un po’ di fantasia, ma lei sembra una di strada. Oh, un vampiro! Come se non ce ne fossero abbastanza qui dentro».
«Scusa, ma abbondiamo anche di donne vestite da strega, se non l’avessi notato», appuntò Miriam senza malizia.
Marta invece si arrabbiò. Trattenne il fiato per non esplodere, pensando a come rispondere a quella che considerava un’insolenza da parte della collega. Prima che potesse arrivare a una conclusione, apparve il misterioso bell’uomo, con Laura sottobraccio.
«Marta, non indovinerai mai: ho incontrato una tua collega… al bagno».
«Fuori dal bagno» si affrettò a correggere Laura.
«E non mi si stacca più di dosso» disse sorridendo.
«Sì, vedo. Anch’io ho trovato una collega» rispose Marta indicando sprezzante Miriam.
«Oh, ma che piacevole sorpresa!» le disse l’uomo. «Io sono Alan, sono un amico della carissima Marta. Volete venire con noi nel privè?».
«Cosa?» urlò Marta arrabbiata.
«Cosa?» urlò Laura incredula.
«Cosa?» chiese Miriam stupefatta.
«Ma sì, dai, stiamo in compagnia. Non mi ha detto come si chiama, signorina».
«Oh… Miriam».
Marta trattenne il fiato e guardò Alan:
«Ricordati che abbiamo quell‘impegno» sbottò.
«Come potrei dimenticare?» rispose l‘altro indicando Miriam e Marta.
«Come mai lei non è travestito, Alan?» chiese Marta con tono civettuolo.
«Io sono travestito. Da persona normale. Abitualmente non vado in giro in completo grigio, credetemi» rispose lui con fare da piacione.
«Ho notato che è in compagnia di molte ragazze» osservò Miriam.
«Ma come, Marta, non hai parlato alle tue amiche della singolare associazione di cui facciamo parte?»
«No, Marta, di quale singolare associazione fai parte, insieme ad Alan?» chiosò Laura maliziosa, sotto lo sguardo disapprovante di Miriam.
«Venite, signorine, avremo di che parlare!» propose Alan prendendo sotto braccio entrambe, mentre Marta diventava rossa di rabbia.

 

 

Miriam e Marta furono portate nel privè, dove Alan la presentò alle altre sei ragazze. Queste le accolsero offrendo loro da bere, e insistendo di fronte al rifiuto di Miriam.
«Dai, Miriam» la incoraggiò anche Laura, «Siamo a una festa: divertiti!»
In circa quarantacinque minuti, Miriam bevve la stessa quantità di alcool bevuta in tutta la sua vita, ma nonostante tutto era vagamente brilla. Laura, nonostante fosse abituata a bere, era invece alquanto ubriaca.
«È bello trovarti qui, Marta» disse Miriam, «E poterci divertire con te. Al lavoro sei sempre così altera e seria».
«E ti arrabbi per nulla» intervenne Laura «Come la storia delle telefonate dell’altro giorno… ma perché dovresti avere un trattamento speciale se il capo vuole una cosa diversa?».
«Diciamo che dovresti essere sempre come stasera: cordiale, allegra… un brindisi per Marta!», intervenne Miriam.
Le altre ragazze le fecero eco e la seguirono nel brindare. Laura si curvò sulla sua sinistra appoggiando la testa sulla spalla di Alan.
«Alan, abbiamo bevuto e bevuto ma non hai ancora spiegato cos’è questa singolare associazione di cui facciamo parte» intervenne Marta.
«Hai ragione e me ne scuso con le tue amiche. Sapete», disse rivolto espressamente a loro due «Non è una cosa molto comune… come potremmo definirci? Dire “un gruppo New Age“ non centrerebbe bene la questione… mentre definirci esoterici, sarebbe riduttivo. Spiritisti? Definizione azzeccata fino ad un certo punto. Diciamo che ci piace pensare che non sia tutto mera materia, ma ci sia qualcosa in più».
Mentre Alan parlava, Miriam, di tanto in tanto, guardava Marta di nascosto, per vedere le sue reazioni. La donna restava in silenzio, sorseggiava il drink, e respirava profondamente fissando Laura. La quale, appoggiandosi addosso ad Alan, cercava apertamente e sottilmente di provocarla. Alle altre ragazze la cosa sembrava non dare fastidio.
«Oddio ragazze… e signor Alan… credo di aver bevuto troppo» disse a un certo punto Laura.
«Credo che un po’ di aria fresca le farà bene» disse Marta guardando l’uomo.
«È anche quasi l’ora» disse Alan.
«Saliamo?».
«Saliamo dove?» chiese Miriam? «E che ora è?».
«Come sapete è la notte di Halloween. Per questa ricorrenza ci piace eseguire un piccolo rito, anche se noi non amiamo chiamarlo così… E visto che stanotte torna anche l’ora solare, abbiamo deciso di sfruttare la coincidenza e celebrarlo proprio nel momento in cui andranno tirati indietro gli orologi. Vedrete, vi farà meglio di mille parole cosa fa la nostra associazione».

 

Le dieci persone presero le scale si spostarono al piano di sopra. Laura, ubriaca, fu sorretta da Alan e Miriam. Non che lui non ce la facesse da solo, ma l’amica voleva starle vicino. I tre incrociarono un inserviente del locale, e la ragazza notò distintamente Alan passargli una mazzetta di banconote.
«Nessuno disturberà», assicurò l‘uomo.
Una volta arrivati sulla terrazza, Marta accese una serie di fiaccole dispose a cerchio, Laura fu fatta adagiare su una sedia al centro di una stella a cinque punte segnata a terra con del nastro rosso.
non necessariamente il nostro rito. Anzi, per nulla
«Cos’è questa roba?» urlò Miriam sospettosa.
«Prendetela» ordinò Alan alle ragazze, che subito si gettarono su di lei bloccandola.
«Che diavolo fate?».
Marta entrò in un ripostiglio e ne uscì con una corda in una mano e nell’atra una sedia di plastica che sistemò di spalle a quella dove era stata accomodata Laura.
«Portatela qui» ordinò.
«La lego io» si offrì Alan, facendosi passare la corda.
«Che diavolo fate?» urlò Miriam cercando di dimenarsi, «Scappa Laura, vai a chiedere aiuto!».
«È troppo ubriaca per capire cosa stia succedendo» disse Alan afferrandola, «E domani dimenticherai tutto anche tu» aggiunse, bloccandola sulla sedia.
«Che cosa fai? Lasciaci andare!».
«Sì, domani, piccola. Riguardo a cosa faccio… la nostra singolare associazione si occupa di quello che volgarmente voi chiamereste satanismo. Veneriamo Nagarotto, Diavolo Tormentatore. Io sono il Sacerdote Nero, e loro le mie Streghe. Marta è la Strega Superiore, le altre le sue apprendiste. Come potrai facilmente immaginare, per servire il nostro Diavolo, dobbiamo tormentare la gente. Oltre al semplice essere maleducati e sgradevoli, ogni tanto offriamo al demone delle vittime, alle quali lui si lega e da cui trae forza vitale. In cambio ci offre il successo e il potere che nella vita ci permettono di poter tormentare ancora più gente e servirlo meglio. Vuoi un esempio? Io ho fatto soldi con un’azienda di abbigliamento. In cambio ho maltrattato mia moglie, fatto sentire inadatto mio figlio, quindi ho reso la vita impossibile a tutti i miei dipendenti».
«Io sto per diventare la vice del direttore Tafazzi, invece. Il tutto grazie a due ex mariti ridotti sul lastrico, un ex fidanzato cui ho procurato un esaurimento di nervi, due amanti in depressione e uno addirittura suicida» intervenne vantandosi Marta.
«Ha ragione Laura a parlare male di te» disse Miriam.
«Figurati: nella lista c‘è anche un tizio che lavorava con noi anni fa di cui si era invaghita. L’ho lasciato di punto in bianco e lui è diventato alcolizzato. Ha dovuto dare le dimissioni per curarsi».
«Te la faccio pagare!».
«Oh, la bimba tira fuori gli artigli!» disse Marta ficcandole un fazzoletto in bocca. La ragazza iniziò a mugugnare in modo rumoroso e ritmico, quasi cantilenando.
«Adesso eseguiremo quello che non ci piace chiamare rito, ma nei fatti lo è» interruppe Alan. «Vi sentirete deboli, vi addormenterete e domani non ricorderete nulla, ma questo creerà un legame tra Nagarotto e voi: ogni volta che vorrà nutrirsi, prenderà un po’ delle vostre energie, fino a che non sarete poco più che larve. Lui altererà la Sorte intorno a me e alle mie amiche… e la bella Marta diverrà il vostro capo. Vi tormenterà ancora di più e nutrirete maggiormente il nostro demone. Se non vi avessimo incontrato, quest’onore sarebbe toccato a uno o più estranei scelti a caso».
«Smettila con questi versi» le ordinò Marta.
«Oh, lasciala stare. Non darà nessun fastidio» disse Alan. «Iniziamo».
L’uomo si mise di fianco a Miriam e Laura, mentre Marta e le altre ragazze si disposero in cerchio, ognuna con una fiaccola in mano. Alan iniziò a cantilenare una lagnosa formula in una lingua incomprensibile, e a gesticolare. Le donne gli fecero eco. Lui ripeté più forte, fino a che gli venne il fiatone. Miriam e Laura erano ormai addormentate. Pur dormendo, Miriam continuava a canticchiare la sua nenia, come fosse ubriaca.
«Scendi a chiamare l’inserviente» disse Alan a una delle ragazze, «Ci aiuterà a caricarle in macchina e riportarle a casa. Domani si sveglieranno nel loro letto e non ricorderanno più nulla».
«Un altro rito è stato eseguito con successo» gli disse Marta baciandolo.
Lui l’accarezzò.
«Se tutto va come deve, io diventerò Sacerdote Supremo, e l’anno prossimo potrei lasciare il mio ruolo attuale a te».
«E promuovere una di queste sciacquette al mio posto?».
Alan rise e la baciò di nuovo.
«T’inviterei da me, ma sai che c’è mia moglie che mi aspetta ancora alzata chiedendosi dove stia passando la notte».
«Eh» sospirò lei, «Ti capisco. Io invece domani dovrò lavorare su una presentazione. Il nostro Demone non ci fa avere successo senza lavorare, purtroppo».



 

LUNEDI’ 3 NOVEMBRE

Laura e Miriam a metà mattinata si incontrarono alla macchinetta dell’ufficio per un caffè.
«Venerdì sera mi sono proprio sfasciata. Ho avuto i postumi della sbornia fino al tardo pomeriggio di ieri. Però ora sto bene» disse la prima.
«Io non sono stata male, però non ricordo nemmeno come abbiamo fatto a tornare a casa tua dalla discoteca» rispose l’altra.
«Anche Marta è malconcia, stamattina».
«Ma dai?» osservò Miriam con sorriso malizioso.
«Quando sono arrivata alle otto e mezzo, era già in ufficio davanti al computer. Aveva un’aria… sembrava uno straccio. Lei che non ha mai un capello fuori posto. Chissà se ha passato la nottata col figone castano. Come si chiamava?».
«Allen, Alton, qualcosa del genere» rispose l’altra fingendo di non ricordare. «Credo però che tutto ciò sia causato dalla presentazione che deve preparare per conto del capo. Prima di entrare da lui, mi è passata davanti e con un sorrisino mi ha detto di augurarle buona fortuna e prepararmi a chiamarla capo».
«Brrrr… t’immagini se diventa socia di Tafazzi,che inferno diventerà la nostra vita?».
Miriam rise.
Proprio in quel momento Marta uscì di corsa dall’ufficio di Tafazzi piangendo.
«Questa presentazione fa schifo! Per colpa tua abbiamo perso il cliente! Scordati la promozione!» urlò il direttore.
«Che diavolo è successo?» si domandò Laura a voce alta.
«Eh, magari è stato proprio quello» rispose Miriam prima di allontanarsi.
Aveva visto Marta entrare in bagno, e aveva deciso di seguirla. Si sistemò, senza far rumore, nel gabinetto a fianco di quello occupato dalla collega e iniziò ad ascoltare mentre parlava, probabilmente al cellulare.
«Alan, è successo qualcosa! Io sto di merda, il capo ha respinto la mia presentazione e non mi assegnerà il posto di vicedirettore» la sentì dire, interrompendosi per trattenere un singulto. «Come? Tua moglie se n’è andata? Ti ha lasciato per il vostro avvocato? Si è presa la casa e l’azienda? Ma… il rito non avrebbe dovuto assicurarci il successo? Oddio, cosa può essere andato storto?».
La donna riattaccò la conversazione e riprese a piangere. Miriam uscì dal gabinetto e si sistemò in modo da tenere ferma la porta d’ingresso. Si mise a cantilenare a bocca chiusa una nenia, la stessa canticchiata venerdì notte dopo essere stata imbavagliata. Vide aprirsi la porta del gabinetto dove sedeva Marta. La donna la guardava a bocca aperta.
«Tutto bene?» le chiese Miriam.
Marta non rispose. Miriam fece spallucce e si appropinquò al lavandino per lavarsi le mani. Le asciugò e si diresse verso la porta.
«Mi dispiace per la tua promozione», le disse prima di uscire.
«Tu! Sei stata tu! In qualche modo hai impedito che il rito si compiesse».
«Non so di cosa parli, davvero!» rispose l’atra con tono incredulo, «Ricordo ben poco di venerdì… mi sono risvegliata a casa di Laura senza sapere come ci sono arrivata. Pensa te!».
Marta la afferrò per un braccio.
«Anche tu… sei una strega, in qualche maniera».
«Marta, per favore, mi fai male!».
«E in qualche modo hai bloccato il rituale… ora Nagarotto prende nutrimento da me e Alan».
«Per favore, Marta, sei stanca, straparli, hai bisogno di riposo. Dico al capo che vai a casa, ok?».
Marta lasciò andare Miriam e si diresse verso il proprio ufficio, prese borsa e giacchetta e uscì.
Miriam, rientrata alla reception, prese il telefono per comunicare l’indisposizione della collega al capo.
Marta scese nel parcheggio, prese l’automobile e schizzò in strada, di corsa verso casa. Accese il cellulare e cercò di contattare Alan.
«Alan, ho capito cosa è successo», gli comunicò, senza poter mai finire la frase: distratta dalla telefonata prese un semaforo rosso e fu centrata in pieno da un camion che stava passando.

 

 

VENERDI’ 7 NOVEMBRE

non necessariamente il nostro funerale
Al funerale di Marta parteciparono pochi familiari stretti e quasi tutti i colleghi dell’ufficio. Il cielo era limpido e un sole tiepido illuminava e riscaldava i presenti al cimitero.
Il sacerdote, che non conosceva la defunta, svolse una breve e formale cerimonia. Una volta finita, l‘assemblea si sciolse. Laura e Miriam decisero di fermarsi presso un bar lì vicino. Il direttore Tafazzi aveva dato un giorno di permesso a tutti.
«Certo è terribile, morire così di colpo. Ora ci sei, dopo puff, non ci sei più» commentò Miriam.
«Non credo che mancherà a qualcuno» osservò Marta cinica.
«Sei crudele anche di fronte ad un evento così tragico».
L’amica fece spallucce e cercò di cambiare discorso.
«Non sai chi mi ha chiamato giusto ieri».
«Chi?».
«Mario. Forse te ne avevo parlato. Lavorava da noi anni fa. Aveva una storia proprio con Marta. Lei l’ha fatto penare talmente tanto che per non farsi venire un esaurimento ha dato le dimissioni. Ha saputo della sua morte dal giornale e ha voluto sapere cosa le fosse successo».
«Fammi indovinare: gli hai strappato un appuntamento?».
«Come fai a saperlo?».
«L’aria sognante con cui ne parlavi».
Laura arrossì senza rispondere.
«Te n’eri innamorata già all’epoca ma lui preferì Marta, giusto?» proseguì Miriam.
Laura arrossì ancora di più.
«E adesso che si è rifatto vivo, con la rivale fuori dai giochi…».
«Ehi, sei tu che ti stai facendo malvagia ora».
«Ok, ok. Piuttosto, guarda qui, restando sempre in tema di morti».
Miriam mostrò all’amica un articolo su un quotidiano free-press trovato appoggiato al loro tavolino: il magazzino di un’azienda di abbigliamento aveva preso fuoco causando la morte del proprietario e di sei giovani dipendenti. Illesi o minimamente feriti gli altri. Il giornale mostrava una foto dello sfortunato uomo in questione e delle sei ragazze.
«Hanno un’aria familiare» commentò Laura.
«Il tipo con cui Marta era alla festa venerdì scorso e le sue amiche».
«Oddio Sembra una vera e propria maledizione».
«Non direi. Qualcuno ha puntato troppo in alto e le cose gli sono andate male».
«Spiegami meglio» chiese l’altra incuriosita.
«Non fa nulla. Devo dirti un’altra cosa», proseguì Miriam in tono serio. «Ho trovato un altro posto. È in un’altra città, dove abitano alcuni miei parenti».
«Oddio, te ne vai?».
«Sì, ho dato le dimissioni oggi stesso. Senza preavviso».
«Ma… ma…»
«Dispiace anche a me andare via e lasciarti» disse prendendole la mano. «Sei stata la migliore amica che abbia mai avuto» disse quasi piangendo.
«Sei appena stata assunta!».
«Lo so» rispose ridendo. «I casi della vita. Era prendere o lasciare. Non mi hanno dato molto tempo per pensarci».
«Ci rivedremo ancora? Tornerai a trovarmi? Posso venire io da te, se vuoi».
«Non credo di tornare, qui ho fatto tutto quello che dovevo. Riguardo a dove andrò… mi faranno viaggiare molto, ci rivedremo solo se il destino lo vorrà».
Una lacrima scese lungo la guancia sinistra di Miriam, Laura trattenne a stento le sue.
«Capisco. Hai bisogno di aiuto per impachettare le tue cose?».
«Si grazie. Non parto subito, ho ancora qualche giorno. Vogliamo andare a festeggiare?».
«Certo» rispose l’altra sorridendo, «Ma stavolta lascio scegliere il posto e te. Non voglio tornare a casa ubriaca senza ricordare niente come l’ultima volta».
«Fidati, a volte è meglio».