Catrina imboccò il sottopassaggio di fretta. In una mano
teneva i palloncini, nell’altra la borsetta. Vagliò l’idea di togliersi le
scarpe, i tacchi le davano fastidio, ma la bocciò subito: camminare a piedi
nudi sul pavimento lurido sarebbe stato un chiaro invito a qualsiasi tipo di
malattia esistente ad assalirla. Sospirò ed affrettò il passo. Si sentiva
ridicola, con quei palloncini in mano. Aveva voluto legarseli al polso sinistro
per fare l’eccentrica e farsi notare, e ora non riusciva più a slegarli né a
rompere il filo e lasciarli volare via. Avrebbe potuto chiedere a qualche
passante di strapparlo, se ne avesse incontrato qualcuno. Litigare a una festa
e abbandonarla d’impulso, del resto, causa inconvenienti. Come, appunto, quello
di ritrovarsi in tarda serata a dover prendere il sottopassaggio per
raggiungere il treno e tornare a casa. Ad ogni modo, l’incazzatura, le era
passata. Ora restavano solo i piedi che dolevano per i tacchi, altissimi, e il
fastidio dei palloncini da tenere in mano.
I tacchi picchiavano pesantemente sul cemento, e i palloncini sfregavano
tra di loro emettendo un suono plasticoso. Si immaginava come una di quei tizi
che suonavano più strumenti contemporaneamente, una one-woman-band.
Dall’altro capo del sottopassaggio vide sbucare in
lontananza due tizi. Avrebbe potuto chiedere loro di strappare il filo dei
palloncini, ma l’avrebbero presa in giro. O peggio ancora provato ad
abbordarla. Non aveva voglia di flirtare, in quella situazione. Addirittura con
due sconosciuti, poi… tirò fuori dalla borsetta il cellulare e fece finta di
telefonare.
“Sì, sto arrivando” disse, quasi
urlando. “Voi siete già lì?” disse nuovamente, accentuando il ‘voi’.
I due tizi erano più vicini. Li vedeva in faccia, ora: non
avevano aria minacciosa, me nemmeno troppo raccomandabile.
“Tutti quanti?” disse nuovamente,
accentuando il ‘tutti’. “Va bene, manca poco”.
Rimase un po’ a far finta di ascoltare il finto
interlocutore, ma quel silenzio non sembrava molto convincente. I due tizi,
ventenni al massimo, carnagione scura e capelli corti, erano sempre più
prossimi. Se avessero provato ad aggredirla… cosa poteva inventarsi?
“Sono nel sottopassaggio della
morte” le venne in mente di dire.
I due ragazzi erano ormai a pochi passi da lei. Uno la
ignorava bellamente, immerso nelle sue cuffie da cui si sentiva fuoriuscire
musica tunza-tunza. L’altro, cercando di non farsi vedere, la fissava. Era stata
l’uscita sul sottopassaggio della morte, a interessarlo, o le sue cosce lasciate
praticamente scoperte dal vestito che indossava? Iniziava a pensare che si
stesse cacciando nei guai da sola… ma ormai doveva proseguire nella finta
telefonata e nella sua improvvisazione.
“Ma sì, ti ricordi l’anno scorso,
quel caso sul giornale? Qui erano stati trovati morti gli aggressori della
ragazza…”.
I due passanti l’avevano incrociata e superata. Provò a
sbriciare con la coda dell’occhio cosa facessero, ma i palloncini li
nascondevano. Provò ad aguzzare l’orecchio, e sentì solo i loro passi
allontanarsi.
“Aveva sporto la denuncia per
essere stata molestata qua sotto, e i carabinieri il giorno dopo avevano
trovato i resti dell’aggressore nel sottopassaggio. Era stato smembrato… era…”.
A giudicare dai rumori, i due ragazzi erano ormai lontani.
Forse si erano spaventati per la storia raccontata. Forse avevano mangiato la
foglia e stavano ridendo di lei e di come si fosse spaventata per nulla.
“Sì, era morto, ovviamente…”.
Il tono non sembrava più molto convincete. Forse i due
passanti non riuscivano più a sentirla. Forse, era al sicuro e poteva smetterla
con quella pantomima. Forse non era nemmeno mai stata in pericolo…
“Va bene dai” decise di tagliare
corto, “Sono quasi arrivata, ancora poco e…”.
Sentì una voce, giungere da dietro, gridava. Le gridava
dietro qualcosa. Con gesti simili a calci, si liberò dalle odiose scarpe e si
mise a correre a piedi nudi, alla faccia del pavimento lercio. Arrivò alla fine
del tunnel, alla scalinata, che salì tutta d’un fiato. Arrivata alla fine,
inciampò sull’ultimo gradino, e cadde rovinosamente a terra. Due dei tre
palloncini assorbirono l’impatto, scoppiando, e rendendo meno dolorosa la
caduta. Afferrò la borsetta e si rimise in piedi e scappò trascinando i due
fili dei palloncini distrutti e l’ultimo ancora integro.
Corse verso la banchina sperando che il suo passante
ferroviario fosse lì ad aspettarla… ovviamente non c’era… si precipitò verso
l’uscita della stazione, sperando di trovare una guardia giurata, o qualche
persona per bene che l’aiutasse. Vide un taxi, che si apprestava a ripartire: urlò
sbracciandosi. Questi lampeggiò. Ci saltò praticamente sopra senza quasi
neanche aprire la porta, e urlò al conducente l’indirizzo dove portarla.
“Signorina, si sente bene?”
chiese l’uomo, con un forte accento dialettale.
“Parti!” urlò lei di risposta.
Durante il viaggio rimase silenziosa. Arrivata a
destinazione pagò il conducente e si scusò
“È stata una pessima nottata”
disse.
In casa si guardò allo specchio. I capelli sudati erano
scompigliati e attaccati alla fronte. Aveva pianto, e il trucco era colato Un
palmo della mano un ginocchio erano sbucciati per la caduta. E aveva ancora il
palloncino superstite legato al polso. Prese una forbice e tagliò il filo, poi
aprì la finestra e lo lasciò volare fuori. Entrò in bagno, aprì l’armadietto e
recuperò disinfettante e cotone, e iniziò a medicarsi. Non poté fare a meno di
ripensare ai due passanti. Cosa le avevano urlato dietro? Era il grido che precedeva
l’aggressione? Oppure volevano solo spaventarla? O stavano scherzando tra di
loro e lei aveva frainteso? Forse era quello con le cuffie che stava cantando?
Ci rifletté su un attimo. Che si fosse impaurita per niente?.
E per questo ci aveva rimesso una caduta, due sbucciature e un paio di scarpe,
seppur scomodissime? E il cellulare, diamine! Nella caduta aveva perso il
cellulare! Come se la serata non fosse andata già male.
Il mattino dopo si alzò, più o meno di buonumore. Si fece una
doccia, ricontrollò le ferite, e si diresse verso il sottopassaggio alla
ricerca dei preziosi beni perduti, sperando che non se li fossero portati via,
e che se fossero ancora lì, fossero sufficientemente utilizzabili.
Una volta arrivata, vide con sorpresa che la polizia aveva
transennato, e teneva lontano i curiosi che volevano guardare.
“Cosa è successo?” chiese ad un
uomo con una macchina fotografica, forse il reporter di un giornale.
“Stamattina presto un passante ha
trovato i resti di due uomini smembrati nel sottopassaggio”.
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