28 gennaio 2016

TtA#42 - Il Sottopassaggio

Catrina imboccò il sottopassaggio di fretta. In una mano teneva i palloncini, nell’altra la borsetta. Vagliò l’idea di togliersi le scarpe, i tacchi le davano fastidio, ma la bocciò subito: camminare a piedi nudi sul pavimento lurido sarebbe stato un chiaro invito a qualsiasi tipo di malattia esistente ad assalirla. Sospirò ed affrettò il passo. Si sentiva ridicola, con quei palloncini in mano. Aveva voluto legarseli al polso sinistro per fare l’eccentrica e farsi notare, e ora non riusciva più a slegarli né a rompere il filo e lasciarli volare via. Avrebbe potuto chiedere a qualche passante di strapparlo, se ne avesse incontrato qualcuno. Litigare a una festa e abbandonarla d’impulso, del resto, causa inconvenienti. Come, appunto, quello di ritrovarsi in tarda serata a dover prendere il sottopassaggio per raggiungere il treno e tornare a casa. Ad ogni modo, l’incazzatura, le era passata. Ora restavano solo i piedi che dolevano per i tacchi, altissimi, e il fastidio dei palloncini da tenere in mano.  I tacchi picchiavano pesantemente sul cemento, e i palloncini sfregavano tra di loro emettendo un suono plasticoso. Si immaginava come una di quei tizi che suonavano più strumenti contemporaneamente, una one-woman-band.

Dall’altro capo del sottopassaggio vide sbucare in lontananza due tizi. Avrebbe potuto chiedere loro di strappare il filo dei palloncini, ma l’avrebbero presa in giro. O peggio ancora provato ad abbordarla. Non aveva voglia di flirtare, in quella situazione. Addirittura con due sconosciuti, poi… tirò fuori dalla borsetta il cellulare e fece finta di telefonare.
“Sì, sto arrivando” disse, quasi urlando. “Voi siete già lì?” disse nuovamente, accentuando il ‘voi’.
I due tizi erano più vicini. Li vedeva in faccia, ora: non avevano aria minacciosa, me nemmeno troppo raccomandabile.
               “Tutti quanti?” disse nuovamente, accentuando il ‘tutti’. “Va bene, manca poco”.
Rimase un po’ a far finta di ascoltare il finto interlocutore, ma quel silenzio non sembrava molto convincente. I due tizi, ventenni al massimo, carnagione scura e capelli corti, erano sempre più prossimi. Se avessero provato ad aggredirla… cosa poteva inventarsi?
“Sono nel sottopassaggio della morte” le venne in mente di dire.
I due ragazzi erano ormai a pochi passi da lei. Uno la ignorava bellamente, immerso nelle sue cuffie da cui si sentiva fuoriuscire musica tunza-tunza. L’altro, cercando di non farsi vedere, la fissava. Era stata l’uscita sul sottopassaggio della morte, a interessarlo, o le sue cosce lasciate praticamente scoperte dal vestito che indossava? Iniziava a pensare che si stesse cacciando nei guai da sola… ma ormai doveva proseguire nella finta telefonata e nella sua improvvisazione.
“Ma sì, ti ricordi l’anno scorso, quel caso sul giornale? Qui erano stati trovati morti gli aggressori della ragazza…”.
I due passanti l’avevano incrociata e superata. Provò a sbriciare con la coda dell’occhio cosa facessero, ma i palloncini li nascondevano. Provò ad aguzzare l’orecchio, e sentì solo i loro passi allontanarsi.
“Aveva sporto la denuncia per essere stata molestata qua sotto, e i carabinieri il giorno dopo avevano trovato i resti dell’aggressore nel sottopassaggio. Era stato smembrato… era…”.
A giudicare dai rumori, i due ragazzi erano ormai lontani. Forse si erano spaventati per la storia raccontata. Forse avevano mangiato la foglia e stavano ridendo di lei e di come si fosse spaventata per nulla.
“Sì, era morto, ovviamente…”.
Il tono non sembrava più molto convincete. Forse i due passanti non riuscivano più a sentirla. Forse, era al sicuro e poteva smetterla con quella pantomima. Forse non era nemmeno mai stata in pericolo…
“Va bene dai” decise di tagliare corto, “Sono quasi arrivata, ancora poco e…”.
Sentì una voce, giungere da dietro, gridava. Le gridava dietro qualcosa. Con gesti simili a calci, si liberò dalle odiose scarpe e si mise a correre a piedi nudi, alla faccia del pavimento lercio. Arrivò alla fine del tunnel, alla scalinata, che salì tutta d’un fiato. Arrivata alla fine, inciampò sull’ultimo gradino, e cadde rovinosamente a terra. Due dei tre palloncini assorbirono l’impatto, scoppiando, e rendendo meno dolorosa la caduta. Afferrò la borsetta e si rimise in piedi e scappò trascinando i due fili dei palloncini distrutti e l’ultimo ancora integro.
Corse verso la banchina sperando che il suo passante ferroviario fosse lì ad aspettarla… ovviamente non c’era… si precipitò verso l’uscita della stazione, sperando di trovare una guardia giurata, o qualche persona per bene che l’aiutasse. Vide un taxi, che si apprestava a ripartire: urlò sbracciandosi. Questi lampeggiò. Ci saltò praticamente sopra senza quasi neanche aprire la porta, e urlò al conducente l’indirizzo dove portarla.
“Signorina, si sente bene?” chiese l’uomo, con un forte accento dialettale.
“Parti!” urlò lei di risposta.
Durante il viaggio rimase silenziosa. Arrivata a destinazione pagò il conducente e si scusò
“È stata una pessima nottata” disse.
In casa si guardò allo specchio. I capelli sudati erano scompigliati e attaccati alla fronte. Aveva pianto, e il trucco era colato Un palmo della mano un ginocchio erano sbucciati per la caduta. E aveva ancora il palloncino superstite legato al polso. Prese una forbice e tagliò il filo, poi aprì la finestra e lo lasciò volare fuori. Entrò in bagno, aprì l’armadietto e recuperò disinfettante e cotone, e iniziò a medicarsi. Non poté fare a meno di ripensare ai due passanti. Cosa le avevano urlato dietro? Era il grido che precedeva l’aggressione? Oppure volevano solo spaventarla? O stavano scherzando tra di loro e lei aveva frainteso? Forse era quello con le cuffie che stava cantando?
Ci rifletté su un attimo. Che si fosse impaurita per niente?. E per questo ci aveva rimesso una caduta, due sbucciature e un paio di scarpe, seppur scomodissime? E il cellulare, diamine! Nella caduta aveva perso il cellulare! Come se la serata non fosse andata già male.

Il mattino dopo si alzò, più o meno di buonumore. Si fece una doccia, ricontrollò le ferite, e si diresse verso il sottopassaggio alla ricerca dei preziosi beni perduti, sperando che non se li fossero portati via, e che se fossero ancora lì, fossero sufficientemente utilizzabili.
Una volta arrivata, vide con sorpresa che la polizia aveva transennato, e teneva lontano i curiosi che volevano guardare.
“Cosa è successo?” chiese ad un uomo con una macchina fotografica, forse il reporter di un giornale.
“Stamattina presto un passante ha trovato i resti di due uomini smembrati nel sottopassaggio”.



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