21 agosto 2014

TtA #32 - la guerra dei pioppi

Padre Eugiolfo percorreva il tortuoso sentiero che si inerpicava tra i colli in compagnia del novizio Gianberto, giovane di buona volontà che da poco aveva deciso di prendere i voti. Finirono di recitare il tredicesimo rosario proprio mentre, arrivati sulla cima dell’ennesimo colle, adocchiarono due sassi coperti dall’ombra di una quercia.
«Credo che potremmo fermarci un po’» suggerì il vissuto religioso.
«Meno male» sbuffò il giovane.
«Prego?».
«Lodavo il Signore per averci donato questo provvidenziale angolo per riposo».
«Si, si, certo. Passami la borraccia dell’acqua, piuttosto».
Il giovane obbedì, e intanto chiese:
«Padre, non mi ha ancora detto perché stiamo intraprendendo questo lungo viaggio. Mi spiego: so che è stato inviato a dar consiglio in merito a una spinosa questione teologica, ma non mi ha detto l’argomento. Non ancora, almeno».
«Oh, il motivo del dibattere è invero ostico» rispose l’altro dopo aver tirato un lungo sorso. «Tieni, bevi pure».
«Ma… è vuota!».
«Dicevo: devi sapere che al di là di questi dolci pendii si stende una pianura, occupata per di più da un enorme bosco, per lo più composto da pioppi».
«Quelli che emanano quei fastidiosi pelucchi?».
«Esattamente. Che è il modo che il Signore ha dato loro, evidentemente, di spandersi e proliferare».
«Ma molta gente sta male, per colpa loro».
«Esatto. Devi sapere infatti, che ai margini del bosco sorge un borgo chiamato Borgopioppeto».
«Che fantasia».
«Già. E qui più di una persona soffre il malessere, stagionale, invero, di cui parli tu. Una giovane ragazza, in particolare, la damigella Euclidea, si farebbe fatta portavoce di tali sofferenti chiedendo al borgomastro l’abbattimento di tale bosco».
«Ma sarebbe una barbarie».
«Oh ti assicuro che ho visto di peggio. Ad ogni modo, il borgomastro ha dovuto rivolgersi al boscaiolo Mastro Feller, che con la sua famiglia, da anni, per editto del Granduca, regola l’abbattimento e il ripiantare degli alberi. Sai, per la costruzione delle case, per il fuoco nei camini, per costruire carri e quant’altro».
«E ovviamente egli ha rifiutato».
«Certo. E il Borgomastro in seguito alle insistenze della dolce Euclidea, che in tal senso è stata alquanto… esagerata. Si è persino recata a casa del boscaiolo… che però era al lavoro. Ed è stata ricevuta dalla moglie di lui, che l‘ha praticamente cacciata in malo modo.».
«Padre, mi perdoni, sta dicendo che la damigella sarebbe andata dal boscaiolo intenzionata a…».
Padre Eugiolfo lo zittì con uno sguardo di rimprovero, per poi passare ad un’un espressione buffa quando il ragazzo tacque.
«Ebbene», proseguì poi, «Il Borgomastro scrisse così una lettera a Sua Eminenza l’Arcivescovo Valpattone, chiedendo l’intercessione diretta presso il Granduca per l’abbattimento del bosco, in quanto quelle piante che causavano tale sofferenza a uomini e donne timorate di Dio non potevano che essere creature del demonio».
«Mi pare quantomeno esagerato!» urlò indignato il giovane.
«Giovanotto, vedo che stai venendo su bene. Invero, la storia non finisce qui».
«Quali altri scabrose macchinazioni hanno ordito quei reietti della fede?».
«Oh, loro hanno fatto già abbastanza. La nostra storia prosegue, o meglio, si svolge parallelamente in un altro loco».
«Ovvero?».
«Ovvero in quel di Pioppomanero».
«Che si trova…».
«… dall’altra parte del suddetto bosco».
«Non mi dica. Anche lì ci sono persone che mal tollerano i pioppi e le loro emissioni?».
«Sì, ma lo svolgersi degli eventi fu diverso. Devi sapere che l’amministrazione del villaggio, che sorge ai piedi di un maniero abbandonato ormai da anni, è in mano a un uomo col titolo di Cancelliere, nominato direttamente dal Granduca, tra una cerchia di nomi eletti dal popolo. Ebbene: tale carica dura cinque anni, e questo è il quarto anno di reggenza del Cancellier Pardolfo, illustre esponente di una delle più celebri famiglie del paese. Addirittura, suo nonno servì presso i proprietari del maniero di cui ti parlavo».
«Un discendente di maggiordomi, insomma».
«Oh, come sai esser cinico, mio giovane accompagnatore. Sappi comunque che quest’uomo, di mezz’età, non accompagna il grigiore dei pochi capelli rimasti con la saggezza, e pare che il compaesani non siano molto contenti di lui, tanto che per le prossime nomine, stavano pensando di porgli come alternativa un giovanotto, tale Lodovico Piridolfi, lavoratore indefesso, apprendista e a quanto pare futuro erede del fabbro del villaggio».
«Capisco».
«Capisci? Non hai da fare battute sul fatto che un fabbro contenda un ruolo importante a un maggiordomo?».
«Mi pare, da come me ne ha parlato, che uno sia un giovane di sani principi, mentre l’altro un vecchio vizioso. Ma forse è una mia impressione».
«Ammetto di essere talvolta imparziale nel mio narrare le vicende e di farmi prendere un po’ la mano».
«“Talvolta” e “un po’”. Ma vada avanti…».
«Certo. Su questo povero Lodovico sono iniziate a circolare voci poco piacevoli riguardo a sue frequentazioni… una vecchia megera, come si suol dire “una curatrice“.. Lo accusarono di recarsi per imparare le stregonerie e utilizzarle contro il Cancellier Pardolfo. Il giovane si difese dicendo di aver semplicemente chiesto alla donna un sollievo contro i pollini di cui precedentemente parlavo».
«Quindi tutto finito lì e…».
«Assolutamente! Il Cancelliere ha inviato una lettera all’Arcivescovo, dicendo che chi soffre di tali fastidi, è da intendersi come posseduto dal Demonio e dedito alla sua venerazione, in quanto gli alberi e la natura, doni del Signore, non possono fare male all’uomo».
«Ma molte erbe sono velenose. Per tutti gli uomini. I morsi di certe bestie selvagge, come i serpenti, per esempio, sono letali per tutti gli uomini. Come può basare un’accusa così pesante riferendosi a un malore che coglie solo una minoranza?».
«È per questo che Sua Eminenza l’Arcivescovo Valpattone mi ha chiesto di visitare questo tristo loco e rimettere un po’ di sale in zucca a questi scellerati governanti».
«Una missione degna di lode».
«Per la quale converrebbe ormai incamminarci. Le questioni da dirimere sono molte e spinose e non sarà un compito facile».
I due ripresero la camminata di buon passo, con un Gianberto invogliato dalle narrazioni di Padre Eugiolfo a giungere quanto prima in loco.
«Ecco, siamo prossimi al colle di cui ti parlavo» disse finalmente Padre Eugiolfo, «Sulla sua cima vedremo, in uno stupendo panorama, il bosco, a est Borgopioppeto, a ovest Pioppomanero, appena davanti alla costruzione da cui prende il nome, e a nord la casa del boscaiolo, Mastro Feller».
Gianberto, impaziente, corse verso la cima della collina per poter vedere il paesaggio che in un solo abbraccio avrebbe racchiuso tutti luoghi di cui aveva sentito parlare. Ma una volta lì giunto, restò alquanto deluso. Il rudere di Pioppomanero era ancora più derelitto di quando si aspettava, il villaggio pareva distrutto… il bosco ridotto nelle sue dimensioni, con tanti tronchi d’albero appena abbattuti nel mezzo a testimoniare una recente distruzione, e Borgopioppeto ridotto anch’esso a macerie.
«Padre, venga, padre, guardi!» urlò alla sua guida.
Eugiolfo accelerò il passo e raggiunse il suo compagno di viaggio.
«Resta in piedi solo la casa di Mastro Feller. Sbrighiamoci, andiamo da lui in fretta!».


I due giunsero presso la dimora del boscaiolo, dalla quale videro un uomo e un giovane, probabilmente il figlio, data la somiglianza, caricare i loro averi su un carro.
«Mi perdoni» esordì Ppadre Eugiolfo, «Lei è per caso il taglialegna Mastro Feller, per carica del Granduca, responsabile del bosco di pioppi tra Borgopioppeto e Pioppomanero?».
«Sarebbe più corretto dire “lo ero”» rispose l’uomo arrestandosi dal lavorare. «Suppongo lei sia il messo inviato dal Cardinale?».
«Sì. Temo però che il mio viaggio sia stato inutile».
«Oh, teme bene. In ciascun villaggio si è sparsa la voce di quanto avvenuto nell’altro, e sono iniziate le reciproche accuse. Gli abitanti di Borgopioppeto hanno saputo dell’imprigionamento del Lodovico Piridolfi, e un gruppo di giovani ha attaccato lo sceriffo pioppomanarese per liberarlo».
«Ma è inaudito» esclamò il giovane Gianberto.
«E pensate» proseguì il figlio di Mastro Feller, «Che, per rappresaglia, i pioppomaneresi si sono uniti per rapire la damigella Euclidea, promotrice dell‘idea di abbattere i pioppi!».
«Disdicevole».
«Così i Borgopioppeti hanno iniziato ad abbattere alberi» proseguì il Mastro, «I pioppomanaresi a combatterli, e noi abbiamo cercato di avvertire il Granduca perché mandasse l’esercito a sedare i combattimenti… ma egli sta cercando di conquistare i territori al nord e non aveva tempo per queste cose… così non è venuto nessuno… e così abbiamo un bosco e due borghi distrutti» concluse scoppiando a piangere.
«Cosa farete ora?» chiese il giovane Gianberto.
«Il Granduca ci ha offerto un altro posto altrove, ci stiamo trasferendo là» rispose il figlio di Feller, «Ma mio padre è molto legato a questi posti, e lo rattrista molto andarsene».
«E di Lodovico Piridolfi? E di quell’Euclidea?».
«Il primo disse ai Borgomanaresi di esser contrario all’abbattimento del bosco, nonostante i malori che gli provocava: “Per poche settimane all’anno posso sopportare“, disse. Così i suoi salvatori finirono per linciarlo. La donna invece, sembra abbia attirato le attenzioni del laido Cancelliere, rifiutandole. Ed è stata arsa sul rogo come strega», disse Feller singhiozzando.
Padre Eugiolfo sospirò, e guardò il boscaiolo:
«Siamo terribilmente dispiaciuti per quanto accaduto. Fossimo giunti prima, magari avremmo potuto risolvere qualcosa… ora vi lasciamo, gentile Mastro Feller. Abbiamo tolto fin troppo tempo ai vostri lavori  per rimembrare questi tristi eventi. I migliori auguri per il vostro nuovo incarico. Andiamo Gianberto, incamminiamoci. Sua Eminenza vorrà avere un resoconto dettagliato».

Il religioso e il suo adepto s’incamminarono, Mastro Feller e suo figlio proseguirono a caricare il carro.
“Con il sacrificio di un bosco ci siamo almeno liberati di tanta gente stupida” pensò tra sé il giovane Gianberto.



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