22 agosto 2014

TtA #33 - Fratello Nicodemo #4 - Avvoltoi

GLI STRANI CASI DI FRATELLO NICODEMO

04 Avvoltoi

tipico specchietto per le allodole... :-P

Le due ragazze si salutarono. La bionda si diresse verso l’uscita del parco, probabilmente diretta verso la metropolitana. Aveva lo sguardo basso e l’aria cupa. La mora,  a testa alta e passo altezzoso, nella direzione opposta. Dal ghigno trionfante in viso sembrava soddisfatta.
«Buongiorno» le disse Fratello Nicodemo quando gli passò accanto. Lei trasalì nel vederselo spuntare all’improvviso, face un passo indietro e si portò la mano alla bocca.
«Mi ha spaventato, Padre» gli disse.
«Non sono “Padre”. O almeno a mia insaputa. Puoi chiamarmi “Fratello”. Possiamo anche darci del tu? Io mi chiamo Nicodemo. Fratello Nicodemo».
«Certo, se vuoi» disse lei ricomponendosi. «Io sono Pamela. A cosa devo l’onore?».
«Ti ho vista parlare con l’altra ragazza. Non stavo origliando, e volendo farlo, sarei stato troppo lontano. Però ho visto la tua amica andare via abbastanza rabbuiata».
«Quindi?» chiese Pamela un po’ seccata.
«Tutto bene?» chiese lui accigliato.
«Perché non dovrebbe?» rispose lei, ancora più seccata.
Lui non rispose, rimase a fissarla. Pamela sospirò.
«Ok, sediamoci» gli propose.
Si accomodarono sulla prima panchina libera che trovarono. Lui a sinistra, sull’angolo, lei un po’ più comoda sulla destra.
«Dunque?» chiese lui.
«La ragazza si chiama Angela. È una mia cara amica. Le voglio molto bene».
«Però?».
«Però secondo me sta con un ragazzo poco serio. La lascia da sola per uscire con gli amici, la trascura».
«E basta?».
«Secondo me ha un’altra. E lei si è messa con lui solo per i soldi. Secondo me non stanno per niente bene insieme».
«E poco fa le hai detto tutto questo?».
«No, solo che…».
«E appena potrai dirai al suo ragazzo tutto il resto?».
«A cosa vuole arrivare?».
«Fai spesso queste cose?».
«Dire quello che penso?».
«Seminare zizzania tra la gente».
«Come ti permetti? E perché sto qui a parlare con te? Non ci conosciamo nemmeno! Perché dovrei confessarmi con te?».
«Più che “confessarmi“, preferirei lo chiamassi “confidarmi”. La confessione richiede un’assoluzione, definitiva. Qui stiamo cercando di risolvere un problema. Anch‘esso definitivamente».
Lei lo guardò tra l‘incuriosito e l‘arrabbiato.
«Vuoi continuarne?»
«Sì» rispose lei sospetta. Voleva vedere dove questa discussione l’avrebbe portata.
«Rispondi a questa domanda: le cose che hai detto poco fa, le pensi davvero?»
«Si. No, è che... Io non riesco… a non guardare la gente in maniera negativa. A non leggere secondi fini nelle loro azioni. A pensare che stiano facendo anche cose buone senza aspettarsi qualcosa indietro un domani».
Lui socchiuse gli occhi e la guardò.
«Cosa c’è?» domandò lei allarmata.
«Continua. Cosa succede quando senti questi pensieri?».
«Io… cerco di scacciarli. Mi dico che sono perfida, che sono cattiva a pensar male…».
«Che a “pensar male si fa peccato”, giusto?».
«Anche…» aggiunse lei poco convinta.
«Ma che a volte ci si azzecca».
«Sempre» disse lei convinta, «Ecco», aggiunse pentita, «L’ho fatto ancora».
«Vai avanti. Cosa succede dopo?».
«Beh, osservo la persona in questione, studio le sue mosse, le sue parole, e valuto se quello che pensavo fosse vero o meno».
«Se realizzi che non lo è?».
«Raramente me ne convinco» disse lei dopo una breve pausa e un sospiro.
«E quando invece realizzi che lo è?».
«Se le azioni della persona in questione danneggiano me, la tengo a distanza, la allontano».
«Se invece, come nel caso di poco fa riguardano tue amicizie…» disse Nicodemo annuendo.
«Vado dritta al punto» disse lei con una punta di orgoglio, «Faccio il mio dovere. Avviso la vittima di quello che le succede».
«E generalmente, come si risolve la cosa? Sia nella prima casistica che nella seconda, intendo».
Lei tirò di nuovo un profondo respiro, e alzò le mani come per iniziare a gesticolare, ma si fermò subito.
«Molte amicizie finite» disse infine, con il tono di chi riconosce di aver fatto un danno. «Sia mie che altrui».
«In passato hai avuto esperienze simili? Intendo: amici o amiche hanno tradito la tua fiducia?».
Lei lo guardò con gli occhi arrossati.
«Sì, come a tutti… credo».
«Esatto: come a tutti. Queste cose sono naturali nei rapporti umani. Sai cosa non c’è di naturale?».
«Cosa?».
«Chi ci sguazza dentro. Hai presente “Gli Avvoltoi”?».
«Quelli della canzone?».
«Sì. Ce n’è una specie particolare. Pianta il seme della discordia nella gente, aspetta che germogli, e poi ne raccoglie i frutti».
«Credo di capire».
«No, non capisci: questi “avvoltoi” non sono persone, non sono animali. Sono piccoli demoni che si nutrono delle sofferenze altrui. Gli uomini (e le donne, nel tuo caso) non fanno altro che foraggiarli, ospitando i loro semi, e lasciandoli germogliare».
«Stai dicendo che sono posseduta? Guarda che io non credo in queste cose».
«Beh, innanzitutto, dovresti. Crederci, intendo. Secondariamente, no, non sei posseduta, ma porti dentro di te quel seme. La vita e le esperienze te l’hanno impiantato. Tu lo nutri e qualcun altro ne gode i frutti. Sei portatrice sana di perfidia».
«Mi faccia un esorcismo allora» disse lei sarcastica.
«Oh, no, non servirebbe. Posso solo darti un consiglio: pensa positivo, goditi la gente, e prima di pensare male, pensaci due volte. Tre, quattro».
«Finito?» chiese Pamela con una smorfia in volto.
«Sì, è stato un piacere» disse lui alzandosi e tendendole la mano.
«Addio» disse lei, stringendogliela e incamminandosi verso la sua destinazione.
Nicodemo si risedette, e la osservò allontanandosi. Pensò che forse i suoi tacchi fossero troppo alti per passeggiare in un parco. Dopo poco si sedette di fianco a lui la ragazza bionda che aveva visto prima insieme a Pamela.
«Ciao Angela» disse lui sorridendo
«Ciao Nicodemo» disse lei acida.
«Vedo che la mia fama mi precede» rispose ridacchiando.
«Perché sei qui?» chiese lei.
«Tu perché sei qui?».
«È il mio territorio. Stai alla larga».
Lui la guardò serio. La squadrò. Osservò il viso da ragazzina, il corpo snello, forse un po’ troppo esile, e i vestiti moderni e informali.
«Ho avvisato la tua “amica” di essere meno negativa» disse dopo una lunga pausa.
«E pensi che basterà?» chiese lei sempre acidamente.
«Oh, per i demonietti come te basta poco» rispose Nicodemo scrollando le spalle «Vi fingete mortali, vi inserite tra di loro, e fate il vostro lavoro. Chissà che fatica farti una falsa identità, conoscere gente, trovare un fidanzato e amici e amiche da infettare con le tue maldicenze».
Lei sibilò.
«Non distruggerai quello che ho costruito» gli disse.
«Non mi fai paura» rispose, «Di recente ho esorcizzato una casa, fatto a botte con una succube e liberato una bottiglia da un demone. È stato divertente. Ha fatto l’effetto del noto confetto nella celebre bibita gassata».
«Dove vuoi arrivare?».
Il tono della ragazza demone ora era nervoso.
«Non spreco esorcismi per avvoltoi come te. Basta mettere un po’ di buon senso nelle vostre vittime. Inducendola a dirti quelle cose, hai fomentato la sua sfiducia per la gente. Io ho riparato parte dei tuoi disastri».
«Non lo sai per certo».
«Si, l’ho fatto» ribatté con tono sicuro. «Ah, ultima cosa: non farti più vedere in giro. Non farti più vedere con quella ragazza, né con il tuo fidanzato. Sparisci e non farti vedere mai più».
«Oppure?» chiese lei spaventata.
Lui la guardò di sbieco.
«Potrei perdere tempo per un avvoltoio come te».
«Potresti?».
«Sono un uomo di Chiesa, vado dove devo e faccio le cose che vanno fatte».
«Potrei andare ovunque e riprendere a fare quello che faccio qui. Come mi troveresti?»
«Ti troverei nello stesso modo in cui ti ho trovata qui».
«E cosa dovrei fare? Sono un demone. Minore, ma un demone. Devo seminare discordia. Non so fare altro».
«Bene: questo da ora è il tuo problema. Risolvilo, e vedrai l’eternità. Va bene?».
Lei lo fissò attonita.
Nicodemo si alzò, e fece un cenno di saluto. Dopo alcuni passi si girò.
«A proposito: apprezzo l’ironia di scegliere il nome Angela, ma no. Non usarlo più».
Si voltò e se ne andò. Angela restò seduta sulla panchina, indecisa sul da farsi.


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