28 marzo 2011

Tales To Astonish #4: Il Colloquio



questo in realtà è un laboratorio di scrittura



Sto per aprire quella porta e credo che me ne pentirò.
O forse non me ne pentirò per niente.
Lo so, ho le idee confuse. Ma chi può affermare di averle chiare in situazioni come queste?
Però non voglio indugiare oltre. Dunque, allungo la mano verso la maniglia e, mentre imprimo quel tanto di forza sufficiente, trattengo il fiato e apro.
Il faccione sorridente di un amministratore delegato mi fa cenno di accomodarmi. Amministratore, ok, ma delegato a cosa?
Probabilmente alla banalità: chiseiquantiannifaichestudihaifattodovehailavoratoperchévuoicambiarelavorocosatiaspettiditrovarequaliambizionihaiperilfuturolanostraèun'aziendagiovanedinamicablablablablabla.
I colloqui di lavoro funzionano così: ti guardano e se gli stai simpatico ti assumono. Se gli piaci come sei vestito/a, ti assumono. Se gli piace il tuo taglio di capelli, ti assumono. Ma ti fanno sedere, ti fanno parlare, ti tirano SCEMO per mezz'ora, quarantacinque minuti, e ti liquidano con un "le faremo sapere". Come se non avessero già deciso.
E anche quella sulla stretta di mano è una leggenda metropolitana: "devi dare" ti dicono, "una stretta di mano decisa, per far sapere che sei una persona forte blablabla".
La verità è che appena entri, ti guardano e hanno già deciso.
L'unica alternativa è che mentre parli, l'altro ti ascolti e scopra che vieni dal suo stesso paese, che hai studiato alla sua stessa scuola, ti sei laureato alla sua stessa facoltà, che sua nonna ha il tuo stesso cognome o qualche altra cazzata. Altrimenti puppi (metaforicamente... qualcuno lo fa davvero ma è un'altra storia)
Di cazzate, anche questa volta, non ce ne sono state. Lo saluto e me ne vado con la consapevolezza di aver sprecato quasi un'ora della mia vita.
Cercherò qualcuno da cui farmi raccomandare.

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