Si strinse nelle braccia cercando di riscaldarsi dall’umidità
della notte mentre guardava la corda stretta alla caviglia. Aveva già provato a
sciogliere il nodo e a staccare dal terreno il paletto a cui era fissata, senza
riuscirci. Chissà come diavolo avevano fatto a piazzarlo così in fondo.
Il grande Circo Borson era in crisi dopo la morte
del proprietario e fondatore. Così suo figlio e i suoi compari, appena intravidero
l’opportunità di salvare le cose, decisero di sfruttarla. Capitarono a
Pietranera, sperduta località nella Pianura, dove si diceva che i capi del
bestiame venissero attaccati da una “bestia” durante la notte causando gravi
perdite agli allevatori. Su questa “bestia” era stata messa una taglia e Culton,
nuovo “capo” del circo, aveva deciso di cogliere l’occasione al volo:
catturarla, intascare la taglia, e poi esibirla (viva o morta) presso il
proprio circo, come attrazione principale nella tenda del “freak-show”.
E così lei, Greta, si ritrovò mezza nuda, legata
in mezzo ad un bosco in una notte di luna piena a fare da esca per questo
misterioso animale. Equilibrista, trapezista,
contorsionista, mangiatrice di spade e ora anche esca.
Ci aveva pure provato a opporsi, ma visto che nel numero
del lanciatore di spade è lei che sta davanti al bersaglio, le avevano risposto
che è abituata al pericolo. E comunque le sarebbero stati vicini, pronti a
proteggerla, all’arrivo della bestia.
Ed era vero: i suoi compagni e colleghi artisti del circo
erano nascosti tra gli alberi in fondo alla radura o nel carrozzone pochi metri
alle sue spalle, dove avrebbero imprigionato la bestia.
Dopo una lunga attesa la paura lasciò posto alla noia. La
luna era seminascosta dalle nuvole, e nel prato si era formata una leggera
coltre di bruma.
“Strano, in questa stagione”, pensò.
Quando ormai si era convinta che “la bestia” non sarebbe
arrivata, udì in lontananza un fruscìo. Poi un rumore più forte, un grido e uno
sparo. Di nuovo un fruscìo, un altro sparo e poi vide due sagome in corsa verso
di lei. Erano due degli uomini del circo, uno sembrava ferito.
“Arriva, arriva” urlarono.
Alle loro spalle poté scorgere una sagoma quadrupede con
qualcosa di vagamente umano.
I due uomini le passarono di fianco e si nascosero nel
carrozzone.
“Hey, e io?” protestò Greta.
Presa dal panico provò dapprima a slegare la corda dalla
caviglia, senza successo, e poi a tirare fuori il paletto, quantomeno per avere
un’arma con cui difendersi. Fallì nel tentativo, e girandosi vide a pochi passi
da lei l’imponente inseguitore, una figura vagamente antropomorfa con pelo e
tratti da lupo, che, fermatasi, si guardava intorno e ringhiava. Si allontanò
da lui strisciano il più possibile fino a tendere la corda al massimo. Iniziò a
gridare aiuto, guardandosi intorno. Vide la figura antropomorfa avvicinarsi e
annusarla. All’improvviso non ebbe più paura, sentì come se questo stesse
cercando di stabilire un contatto. Provò ad allungare la propria mano per
accarezzarlo, forse non c’era bisogno di violenza. Poi un rumore: la bestia
scattò sulla difensiva, e un sibilo spezzò il silenzio. Un guaito dell’animale,
un altro sibilo, un ringhio. Un terzo sibilo e la bestia cadde per terra tramortita.
“Tre dosi” disse Urlich, l’ammaestratore di
elefanti, uscendo dal nascondiglio con il fucile in spalla, “tre dosi di
tranquillante per elefanti”
La mattina dopo Greta volle andare a verificare il frutto
del lavoro suo e dei suoi “colleghi”.
Ancora corrucciata per il ruolo pericoloso cui era stata
obbligata, si recò alla gabbia dove “la bestia” era stata sistemata per la
notte. Si chiese che razza di creatura fosse: antropomorfo e animale allo
stesso tempo, forse avevano scoperto una nuova specie. Avrebbero avuto il
diritto di scegliergli il nome: “canis lupus borsonis” o qualcosa del genere.
Lei, invece, si sentiva in diritto di dare un nome proprio all’animale. O per
lo meno aveva deciso che lo avrebbe chiamato con un nome. Ogni animale del
circo ne aveva uno. Parlare di lui come “la bestia”, “l’animale”, “il coso”,
inoltre, sarebbe stato poco pratico.
Giunta al tendone dentro cui avevano riposto la gabbia
con la preda, vide Culton, Ulrich e Norris, l’imbonitore e presentatore
dei vari numeri, parlottare. Sopra la gabbia era stato steso un telo, e
scostandolo leggermente, mentre parlavano, ogni tanto guardavano dentro con
un’aria che non lasciava presagire nulla di buono.
Greta decise di saltare i convenevoli e sbirciare anche
lei oltre il telo.
“Allora” esordì senza salutare, “Ne è valsa la pena di
rischiare di farsi azzannare?”.
I tre uomini, sorpresi, cercarono di trattenerla, ma lei
fu più veloce e si avvicino fino a poter distinguere, dentro alla gabbia… un uomo
seminudo, sdraiato in mezzo ad un cumulo di paglia, si guardava intorno
inebetito, cercando di capire cosa stesse succedendo.
Culton l’afferrò e la spinse via.
“Cosa ci fai qui? Vattene” le urlò strattonandola.
Dall’interno della gabbia l’uomo diede segno di reagire,
si avvicinò alle sbarre e tirò fuori un braccio come a voler afferrare Culton.
Ulrich lo colpì con un bastone e questi si ritirò. Intervenne Norris a mettere
pace:
“Su, su, dai, non c’è bisogno di fare così”.
Prese il bastone da Ulrich e separò Culton da Greta.
“Stamattina la bestia di ieri notte non c’era più e
abbiamo trovato lui” spiegò alla nuova arrivata. “Stiamo cercando di
comunicare, ma non ci parla”.
“Posso provare io” suggerì la ragazza.
“Tu ti fai i fatti tuoi” urlò Culton spingendola via.
Lei gli rifilò un ceffone. Ulrich rise sonoramente,
mentre Norris si mise di nuovo in mezzo, prevenendo la reazione del giovane.
“Calma, per favore. Abbiamo un problema e dobbiamo
risolverlo”.
“Forse so io come” disse Culton quasi ringhiando tra i
denti. “Ho in mente un nuovo numero”.
Il nuovo numero si svolgeva così: l’imbonitore decantava
a gran voce agli spettatori tutte le meraviglie che questi avrebbero potuto
incontrare entrando nella tenda del freak-show. Per lo più sventurati nati
deformi o normalissime persone truccate in modo da sembrare deformi. Oppure
sventurati nati deformi truccati in modo da risultare ancora più deformi.
Quando si era radunato abbastanza pubblico pagante, questo veniva fatto
accomodare all’intendo di un tendone su alcune (scomode) sedie. Su un piccolo
palco, davanti a un telo venivano fatti sfilare uno dopo l’altro, come in una
passerella di moda, i freak del circo: le gemelle siamesi, l’uomo più grasso
del mondo, la donna barbuta, la ragazza con quattro gambe, l’uomo e la donna
più piccoli del mondo (spacciati come marito e moglie ma in realtà una coppia
di fratelli), l’uomo bruco (un uomo nato focomelico vestito con un costume
verde e nero). Poi l’imbonitore assumeva un tono cupo, e si apprestava a
presentare il nuovo prodigio: l’uomo-animale. Raccontava la sua presunta
infanzia, allevato dai lupi, l’espulsione dal branco e il successivo viaggio in
Pianura, con tanto di dettagli truci sulle aggressioni compiute. Quindi narrava
di come eroicamente lui e i compagni del circo fossero riusciti a catturarlo e
metterlo in gabbia. A questo punto Greta, con un vestito che era un bikini con
delle decorazioni stile carnevale di Rio, apriva il telo del piccolo teatro e
da lì compariva una gabbia che conteneva l’uomo, ricoperto da una pelliccia e
con delle extension sulle unghie che avrebbero dovuto assomigliare ad artigli. Questi,
vedendo gli spettatori, doveva fare il gesto di aggredirli sporgendo le braccia
dalla gabbia e agitando gli artigli. Il pubblico reagiva insultando e
provocando l’uomo-animale, che doveva così aumentare il volume dei suoi
versacci e l’intensità del suo gesticolare. Dopo un minuto circa di reciproci
ringhi e insulti, l’imbonitore diceva al pubblico che era pericoloso
sollecitare ulteriormente l’aggressività della creatura e chiedeva ad Greta di
chiudere il sipario. Mentre la ragazza passava davanti all’uomo-animale, questo
allungava gli “artigli” verso di lei, che tirava un filo al proprio costume e
questo cadeva lasciandola seminuda. Allora usciva di corsa verso le quinte e il
telo veniva definitivamente chiuso dall’imbonitore che usava l’avvenimento come
scusa per congedare il pubblico.
Passò quasi un mese, e l’uomo-animale restava rinchiuso
nella gabbia, senza proferire parola, senza dare segno di intelletto né di
lamentarsi. Gli avevano spiegato il ruolo da interpretare, l’aveva capito, lo
recitava più o meno ogni sera.
Greta gli portò il rancio: carne semicruda, acqua in una
caraffa e un bicchiere. Per tutto quel tempo aveva mangiato sempre quello.
Aprì la porta della gabbia e appoggiò il vassoio
contenente il tutto. Rimase a fissarlo per un po’. L’uomo non dava segno di
voler scappare, così chiuse la porta. Si sedette a bordo della gabbia per
osservarlo mentre sbranava la carne.
“Sei capace di versare l’acqua nel bicchiere vero? Non
volevo mettertela in una scodella come fanno gli altri quando ti portano da
mangiare”.
L’uomo-animale non rispose.
“Cosa ti parlo a fare? Tanto non hai mai risposto e penso
non lo farai. Se un giorno deciderai di rispondere, per favore, per prima cosa
spiegaci come mai hanno messo dentro la gabbia una bestia e la mattina dopo
abbiamo trovato te. Secondo me non è giusto che ti tengano qui prigioniero, purtroppo
però , come avrai notato, la mia opinione non conta niente. Del resto faccio
solo l’equilibrista, la trapezista, la contorsionista, la valletta al
lanciatore di coltelli e la mangiatrice di spade. Vuoi che qualcuno mi prenda
in considerazione? Già, dimenticavo, ho fatto anche l’esca per te”.
L’uomo-animale finì di mangiare la carne, bevve l’acqua
tutta in un sorso direttamente dalla caraffa, riappoggiò tutto a terra e si
allontanò dalla porta.
Greta l’aprì, ritirò tutto e richiuse.
“E la cameriera” aggiunse.
Si allontanò, ma dopo pochi passi si girò e tornò verso
di lui.
“E la spogliarellista, praticamente”, aggiunse
amareggiata prima di andare via definitivamente.
L’imbonitore diede il via alla carrellata dei freak,
aiutato come sempre da Greta. Alle loro spalle, sul palco, coperto da un telo, la
gabbia con il misterioso ospite umano e animale. Nel corso dello spettacolo,
Greta sentì provenire da oltre la tenda degli strani versi, come se l’uomo si
lamentasse di un malore. Avrebbe voluto andare a controllare, ma per la legge
secondo cui “lo spettacolo deve continuare” sapeva di non poter abbandonare il
suo posto. Arrivò il momento dell’uomo-animale. Greta scostò il telone e ed
egli apparve accovacciato in un angolo, che emetteva suoni gutturali senza fare
nient’altro. Norris andò su tutte le furie, prese un bastone, lo infilò tra le
sbarre e cercò di colpirlo. Il pubblico incitò l’imbonitore e in parte iniziò a
fischiare. Fu allora che l’uomo-animale si alzò, afferrò il bastone, lo tirò
dentro la gabbia e lo spezzò, poi si lanciò verso le sbarre protendendo le
braccia al di fuori di esser per colpire Norris. L’imbonitore si ritirò
arretrando verso l’esterno del palco. L’uomo-animale continuò a colpire le sbarre
nel tentativo di sfondarle. Ogni colpo diventata sempre più forte, mentre lui
sembrava diventare ogni volta più grosso. Il pubblico urlava elettrizzato,
applaudiva e incitava la reazione del mostro. Ad un certo punto l’uomo-animale
si fermò e guardò in alto, un punto alle spalle del pubblico e al di sopra di
esso. Qualcuno si girò e indicò la luna piena. L’uomo-animale cadde in
ginocchio ed emise un verso simile ad un ululato, mentre il suo corpo cambiava:
gli arti si allungarono, la gabbia toracica ingrandì, il cranio mutò forma e
tutto il corpo si ricoprì di lungo e ispido pelo fulvo. Greta riconobbe la
bestia per cui era stata esca, mentre Norris rimase bloccato dal terrore. Il
pubblico esplose in un boato di approvazione e applausi mentre l’uomo-animale,
ora più animale che uomo, si alzò in tutta la sua possente statura, e con una
sola spallata abbatté le sbarre e guadagnò il centro del palco, emettendo suoni
simili ad abbai, seguiti da un prolungato ringhio che stordì tutti i presenti.
Greta si nascose in un angolo, chiuse gli occhi e si tappò le orecchie. Norris
cercò di scappare per chiamare qualcuno che lo aiutasse a rimprigionare la
bestia, ma questa fu più veloce e gli saltò addosso. La ragazza riaprì gli
occhi proprio in quel momento e vide l’imbonitore venire aperto a metà da un
morso della bestia, che poi si buttò in mezzo al pubblico, che, ancora eccitato
perché convinto fosse una finzione, cercava di toccarlo e di chiedergli un
autografo come fosse una star. Ma lui respinse tutti e uscì dalla recinzione.
Greta cercò di inseguirlo, ma lo perse di vista.
Qualche decina di metri più in là c’era il tendone
principale, dove gli altri artisti aspettavano di iniziare il proprio
spettacolo, alla fine di quello dei freak. Corse in direzione dell’ingresso sul
retro, per avvisare i compagni dell’accaduto, ma un gruppo di persone in fuga
proprio dal tendone le incrociò la strada. Dovette lottare per non venire
travolta e usare tutta la sua agilità per uscire dalla folla. Solo allora, poté
giungere a destinazione.
Entrata, vide il pavimento sporco di sangue, arti sparsi
qua e là e corpi squarciati da quelli che sembravano giganteschi morsi. Riconobbe
quasi tutti i propri colleghi, smembrati. Trattenne un conato di vomito, e
quando si girò vide la bestia, seduta sulle quattro zampe con le fauci sporche
di sangue, che la fissava immobile. Ai suoi piedi, quel che restava del corpo
di Culton, con un’espressione terrorizzata sul viso.
Vide la bestia avvicinarsi a lei, quasi con aria
soddisfatta. Greta si ritrasse terrorizzata, allora la bestia emise un guaito e
scappò via. Greta cadde a terra e scoppiò a piangere.
Interminabili minuti dopo, la Donna Barbuta entrò nella
tenda, la abbracciò per consolarla e le comunicò che oltre a lei, anche i
membri del Freak Show e tutti gli animali ammaestrati erano stati risparmiati
dalla furia della bestia. Greta si strinse alla sua consolatrice e continuò a
piangere.
Fu in quel momento
che capì: aveva passato tutta la vita nel circo, in mezzo a gente che per
invidia o discriminazione l’aveva maltrattata. Ora nessuno di loro c’era più.
Insieme, i pochi sopravvissuti potevano prendere in mano il Circo Borson e
farlo diventare quello che volevano loro.
Gli ultimi erano diventati i primi.
Per questo però doveva ringraziare l’uomo-animale, che
aveva ucciso tutte quelle persone che l’avevano imprigionato, tranne lei,
l’unica che l’aveva trattato con gentilezza. Ma la sua liberazione valeva tutto
quel massacro? I suoi sentimenti verso il proprio liberatore erano ambivalenti.
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