Li guardò mentre correvano a perdifiato, dalla piazza del centro verso le vie esterne, con l’orrore dipinto sul volto. Si intralciavano l’un l’altro, e allora sgomitavano, si spingevano a vicenda senza nessun riguardo. Qualcuno portava in braccio i propri bambini. Un adolescente correva tenendo la mano alla fidanzatina: quando perse l’equilibrio e cadde, la sua ragazza lasciò la presa e scappò via. Il giovane venne calpestato dalla folla, come tutti coloro che cadevano a terra. Quando la fiumana di gente si diradò, Sylvan si diresse verso il punto da cui essi provenivano. Notò una donna dai capelli castani, che spingeva una carrozzina con a bordo un uomo anziano che non sembrava consapevole di quanto stesse succedendo. La sentì urlargli qualcosa. Forse gli diceva di mettersi in salvo… era straniera, evidentemente, e non riusciva a esprimersi bene. Ad un certo punto la sedia a rotelle investì l’adolescente caduto e calpestato poco prima e l’anziano passeggero volò per terra. La donna straniera cadde a terra e si mise a urlare e piangere. Sylvan, insensibile, si diresse verso il punto da cui tutta quella folla era arrivata, alla ricerca di ciò che li aveva fatti scappare. Ne vide arrivare uno. Uno solo. Tutta quella paura per un solo unico zombie. Sylvan sorrise. Uno solo, ma meglio di niente. Il suo corpo alto e magrissimo accelerò appena il passo barcollante verso quella figura dall’andatura altrettanto incerta. Vide il non morto aumentare la velocità, in sua direzione, bramoso della sua carne o del suo cervello o entrambi. Come due camion in un frontale visto al rallentatore, i due instabili personaggi vennero finalmente a contatto. Sylvan fu più veloce e poté avventarsi con violenza sulla carne putrefatta dell’antagonista, scaraventandolo a terra, e mordendolo e staccando brandelli marcescenti fino a che non si mosse più. Rinfrancato, si alzò, si pulì la bocca con la manica della camicia (ormai logora) e a passo più sicuro e con colorito più sano, si diresse verso la donna, il suo paziente e l’adolescente ancora tutti per terra, chi messo male, chi peggio.
“State bene?” chiese con tono passivo.
Lo sguardo terrorizzato della donna valse più di mille risposte. Sylvan provò ad avvicinarsi, ma lei si ritrasse, facendo scudo con il suo corpo al vecchio e al ragazzo, appena cosciente di ciò che stava succedendo.
Si fermò e con uno sguardo triste in volto si allontanò.
“Hai ragione donna ad aver paura di me” disse. “Una volta ero uno di voi, un umano, con la mia vita e i miei sogni. Poi, una di quelle creature” aggiunse indicando lo zombie appena affrontato “Mi privò della mia umanità trasformandomi in uno di loro, una creatura perennemente pervasa dalla fame e priva di intelletto. Fino a quando, una delle mie prede, particolarmente tenace, oppose resistenza ai miei assalti con le unghie… e con i denti”.
“Un essere umano ti ha morso?” chiese la donna, nel suo strano accento straniero, faticando a parlare quanto ad alzarsi.
“Già. Con somma ironia della sorte, la preda ha morso il predatore, ed è stato trasformato in una cosa a metà tra quelle di cui aveva già avuto esperienza. Carne viva, intelletto, sangue caldo… e un’insaziabile fame di quella forma corrotta simile a ciò che era stato fino a poco prima”.
“Tu… mangi zombie?”.
La fissò negli occhi, non più con uno sguardo tormentato, ma con un ghigno famelico.
“Per tutti ora sono… il Necrofago”.
La donna si portò la mano alla bocca, in segno di paura.
“Non devi tenermi” aggiunse Sylvan, “Non sono più un pericolo per te e i tuoi simili”.
Da lontano si udirono delle sirene in avvicinamento.
“Arrivano“ disse Sylvan guardando in lontananza. “Ambulanze, polizia, forse l’esercito. Sempre la stessa scena: quando accadono i fatti, non si fanno vedere. Quando tutto è finito, compaiono per far finta di sistemare l’irrimediabile.”.
Si voltò verso la donna ancora a terra.
“Avranno cura dei tuoi feriti. Io devo andare. Dove sono loro non posso stare io. È stato un piacere conoscerti, anche se per poco”.
Con il suo passo lento ma costante si allontanò dalla donna, dal ragazzo ferito e dall’anziano incosciente, solitario lungo una strada deserta.
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