08 settembre 2011
Tales To Astonish #13 - La Biblioteca
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La biblioteca in cima alla collina era un luogo che mi aveva sempre affascinato. Perché situare una biblioteca in cima ad una collina? Metaforicamente ci innalzava? O più prosaicamente vegliava sulla città?
Fatto sta che ogni volta che mi ci recavo là restavo ammaliato dal silenzio pieno delle persone che leggono, studiano o ricercano la sapienza, per un esame scolastico o per sé stessi. E poi mi piace anche la patina di polvere che i volumi più vecchi ti lasciano sulle dita. “Polvere di fata” diceva sempre Clara. Era la figlia dell’anziano custode. Neanche a dirlo sono sempre stato perdutamente innamorato di lei. Ci misi un anno per attaccare bottone, un anno per dichiararmi, un anno per decidere di andare via perché per lei ero solo un amico. Oggi, dopo dieci anni, sono tornato per il funerale del padre di lei. L’aereo non è partito, e sono arrivato tardi. Mi hanno detto che ha chiesto di me. Vuole che ci incontriamo alla biblioteca. Infatti adesso sono lì davanti.
Il portone è socchiuso. Entro, ospite indesiderato, di un silenzio vuoto. Ci sono solo io.
“Clara?” chiamo.
In risposta odo solo il suono di un carillon. “Clara, sei tu?” ripeto a voce più alta. Decido di seguire il suono. Piano piano mi avvicino, cercando di fare piccoli rumori che preannuncino la mia presenza, per non spaventarla.
Giro l’ultimo angolo, e chiamo, dolcemente: “Clara?”.
Finalmente la vedo: una donna cui il tempo non aveva scalfito la bellezza. Seduta per terra, con in mano un carillon e accovacciato sulle gambe un libro. Un nodo mi si forma in gola, e le gambe iniziano a tremarmi. Mi sembra di essere di nuovo il ragazzino che l’aveva ammirata.
“Ciao” mi disse con un sorriso. “Ti aspettavo. Siediti”.
Mi accovaccio a terra insieme a lei, emozionatissimo.
Resto in silenzio per alcuni minuti, ascoltando con lei la musica.
Quando il refrain si conclude, mi guarda, sorride e chiude la scatola.
Sto per parlarle, ma lei mi precede.
“Ho pensato a te spesso in questi anni”, mi dice. Il mio cuore perde un colpo. Vorrei dirle qualcosa, ma non ce la faccio.
“Saresti stato tu la persona adatta”.
Ho la salivazione azzerata.
“Lo vedi questo libro? Non ha pagine. C’è solo la copertina. Ogni custode di questa biblioteca ne riceve uno, e lo deve riempire. Deve trovare storie che lo emozionano, non devono essere necessariamente originali, ma scritte con il cuore. Non quei successi costruiti a tavolino, ma che vengano da dentro, naturali, spontanei.”
Io la guardo, seguo le sue labbra, sento il suono della sua voce, osservo i suoi capelli ondulati, la linea della sua figura: il seno rotondo, la vita stretta, la curva dei fianchi.
Si alza, agile e mi tende la mano. Io la imito, goffamente, e le porgo la mia.
Attraversiamo la biblioteca, verso il bancone. Lei, leggiadra, quasi danzando sulle punte, io barcollando, incerto, insicuro.
Arriviamo lì, e mi guarda. Tira fuori un altro volume.
“Questo è quello che riempì mio padre, nei suoi anni di lavoro. Ora la biblioteca ha bisogno di qualcun altro. Ha deciso che è il tempo di raccogliere nuove idee, nuove sensazioni, nuovi punti di vista”. Credo di capire dove voglia arrivare.
“Voglio che tu lo faccia con me” mi dice.
Io non so cosa rispondere, non so cosa fare.
Dovrei mollare il posto sicuro al lavoro, la moglie, gli amici?
Per il mio sogno di gioventù?
Poi ci penso: il lavoro mi fa schifo, mia moglie non la guardo più in faccia, gli amici sono solo una scusa per uscire di casa e stare lontano da lei e ubriacarmi per non pensare al lavoro.
Così finalmente riesco a spiccicare un monosillabo e le dico semplicemente di sì.
Lei mi abbraccia e mi bacia.
Forse sono ritornato al bivio dove ho fatto la scelta sbagliata e la mia vita ha iniziato a fare schifo. E ho l’occasione, se non di ripartire da zero, per lo meno di rimediare.
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