11 agosto 2011

Tales To Astonish #12 - Psionici 1

IMPEDITE IL MASSACRO AD ANFIELD ROAD!!!




Nichols attendeva impaziente fuori dallo stadio, fumandosi il suo classico sigaro. Quasi un clichè, pensò.
«Questo vizio ti ucciderà» gli disse la Kowalsky.
«Oh, la nostra hooligan preferita» ironizzò lui. La inglese, leggera ma insistente, lo innervosiva.
«Allora? Cosa devi dirmi?» le chiese lui per tagliare corto, mentre la voce di lei gli arrivava direttamente nel cervello.
«Nulla. Non è il nostro uomo».
Nichols sbuffò.
«Ho fatto la zoccola per niente» rise di nuovo lei, «Stasera lo scarico e sparisco nel nulla».
«Oh, certo, sedurre un venticinquenne alto e con due spalle così deve averti proprio scocciata.».
«Diciamo che ho un target più elevato rispetto a quello di un capopopolo tutto calcio e birra».
Lui rise.
«Il nostro bersaglio deve comunque essere allo stadio. Nello stadio».
«Non penserai che possa sondare mentalmente quarantacinquemila persone, vero? Faccio già fatica a tenere il contatto telepatico con te».
«Ok, ho capito, zuccherino, riposati. E poi Hernandez lo paghiamo per questo, no? Contattalo e digli di fare un giro».
«Ciao capo!» disse Herandez direttamente nella testa di Nichols.
«Hai visto, capo? Teleconferenza telapatica» spiegò la donna.
«Brava Kowalsky, adesso basta spacconerie, e mettetevi al lavoro».

Pablo Hernandez, ispanico, trasferitosi in Canada a quindici anni, da clandestino. Lui percepisce quelli come loro. Karen Kowlasky, ex spia russa, telepate, ne conferma l’identità. Nichols, ex pilota RAF, li neutralizza. Oggi sono in azione allo Stadio Anfield di Liverpool, meglio ed erroneamente noto come Anfield Road (quello è l’indirizzo dove si trova), dove fonti sicure danno la presenza di un “agitatore“, un agente telepatico che dovrebbe aizzare la tifoseria di casa contro quella ospite nel corso di una gara decisiva per la corsa alla vittoria della Premier League.

Hernandez, travestito da steward, iniziò a girare per la curva della KOP. La partita non era ancora iniziata, ma lo stadio era già pieno. Come sempre, i tifosi Reds cantavano You’ll Never Walk Alone, mentre dalla parte opposta, i tifosi dei Blues londinesi, tentavano di coprirli di fischi.
Pablo non aveva mai capito come funzionasse il suo potere: imitare la capacità di quelli come lui. Una volta, in pieno centro di Toronto, iniziò a sentire i pensieri di tutti i presenti direttamente nel proprio cervello. Gli sembrò di impazzire. Fu proprio il telepate che aveva imitato a soccorrerlo. Patrick Powell, pace all’anima sua. Gli insegnò a controllarsi e a gestirsi, e più tardi lo presentò a Nichols stesso. Anni dopo, proprio questi lo reclutò per l’Organizzazione, come membro della squadra di Nichols.

Il giovane iniziò a gironzolare per gli spalti, guardandosi attorno sperando di trovare il ricercato. Ad un certo punto gli venne in mente che se la Kowalsy non poteva sondare tutti presenti, nemmeno lui poteva controllarli uno per uno. Stava per prendere il cellulare per chiamare Nichols e protestare, quando un altro steward lo richiamò.
«Non è la tua zona, questa».
Gli avrebbe tirato un cazzotto, ma si trattenne.
«Ah, scusa, sono nuovo» si giustificò.
«No, non è una scusa, cazzo! Dobbiamo stare attenti a queste cose, cazzo! La fottuta sicurezza dello stadio è nelle nostre mani, dobbiamo…»
Il giovane sbuffò e si ridiresse verso l’aerea a lui assegnata riflettendo su come l’aplomb inglese fosse in realtà una leggenda. Urtò un uomo sui quaranta, dall’aspetto probabilmente un pakistano, che gli si rivolse contro nella sua lingua, in modo poco educato.
Estrasse il cellulare per chiamare Nichols, quando lo vide e riconobbe. Poche file sotto di lui, tre adolescenti stavano litigando con due signore di mezz’età. Dall’altra parte due ragazze stavano prendendosi per i capelli.
Più in su altri due tifosi stavano litigando sul fatto se sperare o meno un ritorno di Michael Owen nel club.
«Ma cazzo, sono tutti stronzi, oggi? Va bene il clima della partita, ma…»
Fu in quel momento che ebbe l’illuminazione.
«Sto replicando il potere dell’agitatore! E’ qui vicino!».
Provò ancora ad estrarre il cellulare per chiamare Nichols, quando riconobbe chi stava cercando: l’omino delle patatine e delle bibite. Rintascò il suo Samsung e gli si avvicinò apparendo tranquillo.
«Signore, mi deve seguire».
«Cosa?» chiese quello inebetito.
«La prego. Non faccia storie».
Lo prese gentilmente per un braccio, mentre un ragazzino chiedeva la bibita che aveva già pagato. Il padre del ragazzino si innervosì e iniziò a urlarle.
«L’ho pagata, quella bibita, stronzo!».
Pablo strinse il venditore più forte e lo trascinò via a forza. L’uomo si alzò per inseguirli, ma goffamente cadde addosso ad una ragazza bionda, che si mise a strillare. Il suo fidanzato lo spintonò.
«Hei ciccione, giù le mani dalla mia donna!»
«Appunto!» intervenne la moglie dell’uomo e madre del ragazzino.
«Scusa, cazzo, io… io… ho perso la calma dietro a quel… appena passa un altro con le bibite ve ne offro una e ci sistemiamo, ok? In fondo, è stato tutto uno stupido incidente, no?»
«Bella, capo!» disse il giovane infuriato fino a due secondi prima, mentre la sua ragazza faceva una smorfia poco felice.
I due tifosi, intanto constavanoo che Owen era troppo fragile e vecchio, non aveva mai vinto un cazzo e poteva restarsene a marcire a Manchester, tornare a Newcastle o addirittura a Madrid.
Le due ragazze che si accapigliavano si abbracciarono, facendo pace, mentre i due adolescenti erano diventati amici delle donne di mezz’età. «Vi presento le mie nipotine» disse una delle due.

Hernandez fece entrare Nichols e la Kowlasky nello stanzino dove aveva chiesto al venditore di bibite di attenderlo. Questi li vide, e scoppiò a piangere.
«Vi prego, hanno preso i miei figli e mia moglie! Li uccideranno se non…»
«Mente» sentenziò la Kowlasky quasi infastidita.
Il venditore fece per estrarre qualcosa dalla giacca quando Nichols congiunse le mani e lo fulminò con una scarica elettrica. L’uomo cadde a terra e si sentì una sottile puzza di bruciato.
«Aveva un pistola» spiegò tranquillamente la donna a Hernandez.
«Ho capito, ma…».
«Non è morto, solo svenuto» disse Nichols controllando lo stato di salute dell’uomo.
«Chiamo i bobbies?».
Nichols fece cenno di no e chiamò con il cellulare un numero alla cui risposta disse solo:
«E’ qui».

Più tardi l’uomo venne trasportato da degli agenti con un automobile della polizia verso destinazione sconosciuta, e i tre uscirono dallo stadio, mentre da esso proveniva un urlo di esultanza.
La Kowlasky si tenne la testa come per un dolore improvviso.
«Chi ha segnato?» chiese ansioso Hernandez.
«Tale Torres. Può essere?».
«Fanculo» rispose il ragazzo.
«Bah, calcio. Il rugby, piuttosto, quello è uno sport vero» commentò Nichols.
«Dove lo porteranno?» chiese Hernandez al suo capo.
Questo lo guardò, e tirò fuori un sigaro dalla tasca del cappotto. Gli fece un gesto chiedendogli se volesse fare un tiro, ma, sempre a gesti, il ragazzo rifiutò.
«Non so se posso dirtelo» rispose l’uomo tirando una prima boccata.
«Non hai ancora passato la selezione» disse la donna, sicura sui suoi tacchi altissimi.
«Però oggi sei stato bravo, Powell sarebbe fiero di te. Domani ti chiamo, ti faccio sapere».
Nichols si avviò verso la metropolitana, la Kowalsky fece il gesto per chiamare un taxi.
«E se non vengo preso?» chiese Hernandez.
«Non ci sentirai né vedrai mai più, tranquillo. Non siamo di quelli che fanno sparire la gente. Noi la salviamo. E comunque, da quel poco che posso giudicare, ti sei comportato bene, oggi».
Nichols sparì giù per la scalinata dell’Underground, la Kowalsky sparì a bordo di un taxi.
Lui rimase lì, a guardarsi intorno.
«Tonerò allo stadio a guardarmi la partita. In fondo, ne ho diritto: sono uno steward».



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