25 agosto 2007

"In nome di Vincenzo vi prego: mai più"

da gazzetta.it


"In nome di Vincenzo
vi prego: mai più"

Dodici anni dopo il padre di Spagnolo, ucciso durante un Genoa-Milan, piange ancora, ma spera: "Il suo ricordo può servire a qualcosa di buono, non alle faide. Non basta ricordare, bisogna impegnarsi per un calcio migliore"


GENOVA, 25 agosto 2007 - Parliamo al bar? Il signor Cosimo Spagnolo, 64 anni, rilancia: "Va bene anche qui, in piedi. Ma all’ombra". Ok. Ci mettiamo all’ombra di dieci grandi massi, uno sull’altro, ornati da sciarpe rossoblù: la stele che ricorda Vincenzo Spagnolo, figlio di Cosimo, accoltellato a morte il 29 gennaio 1995. Aveva 24 anni, tifava Genoa; il suo assassino 18, milanista. "Mio figlio arrivava da là, lì ha incontrato i milanisti coi coltelli, qui è caduto" spiega Cosimo spostando l’indice nell’aria. Dall’altra parte della piazza, gente in fila alle biglietterie dello stadio Marassi. Domani, 12 anni dopo, si gioca ancora Genoa-Milan. Ricordare è l’undicesimo masso.

LACRIME - "Quella domenica ero nella nostra casa sulle alture di Genova, nel paesino di Begato. Mi telefonò Simona, mia figlia maggiore: "Papà, devi venire subito al Pronto soccorso di San Martino. Claudio è stato coinvolto in un rissa". Per noi era Claudio, per la curva "Spagna". Vincenzo valeva solo per l’anagrafe. Me lo sentivo che era una cosa grave, ma neanche per un attimo considerai l’ipotesi della morte. Invece Simona mi venne incontro in lacrime e io cominciai a urlare nel corridoio: "Non si può morire per una partita di calcio!" Non potevano neppure mostrarmelo. Poi, alla sera, s’impietosirono. Claudio non aveva la faccia sofferente. Sembrava sereno. L’infermiere dell’obitorio piangeva come un bambino. Gli mettemmo il vestito nero, quello bello che usava in discoteca. Nella cassa infilammo la maglia di Torrente, il capitano. Anche mio figlio, grande e bello com’era, giocava in difesa, nella Culmv, la squadra del porto".

BRODO - "La passione per il Genoa gliel’ho passata io - continua - nella camera ardente un ragazzone pianse per un’ora poi stese accanto alla cassa una sciarpa blucerchiata: era uno dei capi ultrà della Samp. Ai funerali il cielo era nuvoloso, ma appena arrivammo al cimitero, le nuvole si aprirono e scese un filo di luce. Per settimane mangiai solo brodo, che ho sempre odiato, perché non riuscivo a masticare. Non ce la facevo neppure a usare il cacciavite, io che ho sempre avuto una grande manualità. Ero capo cantiere, gestivo 70-80 persone. Dovevo prendere decisioni, provvedimenti. Ma non ce la facevo più. Avevo perso stimoli, tutto. Andai in pensione a 54 anni. Però, oltre alla disperazione, avevamo la responsabilità di due figlie. Perciò io e mi moglie ci scrollammo di dosso il dolore e andammo avanti".

QUADRO - "Mi manca da morire il pugno che Claudio mi dava sulla spalla quando rientrava in casa e mi diceva: "Ciao, roccia". Mi manca la sua fisicità. Un pittore di una galleria di Sorrento mi ha regalato un ritratto di Claudio tratto da una foto. Da quel quadro mi guarda e io gli parlo. Vedo spesso mio figlio che gira per casa. La casa è rimasta intatta. Per paura di dimenticare, non ho tolto nulla. Nella sua stanza, che ha voluto Romina, la sorella più piccola, ci sono ancora i caschi, gli adesivi del Genoa. Tutto. Ogni angolo è un ricordo. E io quando ricordo o parlo di Claudio, come ora, sono felice. Guido il suo Pajero bianco targato Milano. All’inizio mi prese un grande odio per il calcio, poi a forza di frequentare i tifosi che mi hanno accompagnato nella mia tragedia, quelli veri, che odiano la violenza, ho capito che non è stato il calcio ad ammazzare mio figlio, ma delinquenti puri".

CEFFONE - "Ai tifosi veri, alle società, alle forze dell’ordine chiedo di fare di tutto per eliminare i capi-popolo che fomentano per interesse, i delinquenti che insegnano a odiare e ricattano i club. È così difficile rintracciare chi regge lo striscione "A Genova uno di meno", come è successo durante un Samp-Milan? L’assassino di mio figlio dopo un anno era già a casa, ai domiciliari. Ci indignammo, si riaprì il processo, ottenne il premio del patteggiamento, poi l’indulto. E oggi è libero. Scrisse una lettera a Claudio e si disse pentito per impressionare i giudici. Avrei preferito che una volta sola, in aula, mi avesse guardato e detto: "Vi chiedo scusa per avervi tolto un figlio". Non abbiamo mai sentito la sua famiglia. E neppure il Milan. Uno che si fa prestare un coltello più grande prima di partire per una trasferta di calcio ha già dentro qualcosa di sbagliato, anche se ha solo 18 anni. Cosa farei se un giorno si presentasse alla mia porta per chiedere scusa? Forse piangerei, forse gli darei un ceffone".

BAMBINI - "Ma io non cerco vendetta. Non ce l’ho con i milanisti. So che molti a Genova non sono riusciti a dimenticare e covano odio. A loro dico in modo accorato: la vendetta è una strada senza uscita, porta solo lutti e dolore. È una faida. A Marassi hanno appeso tre targhe a ricordo di Claudio. La mia preferita è quella degli amici di San Teodoro, dove c’è scritto "mai più". Non basta ricordare, serve l’impegno per il futuro, perché non accada mai più ciò che è successo a Claudio. Dopo la tragedia, sono entrato a Marassi due sole volte: per il torneo intitolato a Claudio e per ricevere il pensiero di una squadra di bambini arrivata da Milano. Ogni anno si gioca un torneo per ragazzini intitolato a Claudio. Lo scorso anno c’erano in campo i ’95, bambini nati nell’anno della morte di mio figlio. Bella idea quel torneo, così i grandi, spiegando ai ragazzi chi era Vincenzo Spagnolo, possono ricordare quali sono i veri valori dello sport. E il ricordo di mio figlio può servire a qualcosa di buono, non alla vendetta".

PAURA - "Domenica pomeriggio sarò in collina, a Begato, come 12 anni fa, per quel Genoa-Milan. Allo stadio ci sarà mia figlia Romina, che ha preso il posto di suo fratello nella Nord. Non ho paura di incidenti, ma che la situazione e i ricordi la coinvolgano troppo. Se le forze dell’ordine hanno riscontrato situazioni a rischio, hanno fatto bene a impedire la trasferta a Marassi. Nessun padre deve provare ciò che ho provato io. Ma un divieto di frequentare lo stadio è comunque una partita persa dal calcio. È una vittoria della violenza. Che il ricordo serva per riflettere. Mai più". Il signor Cosimo saluta ed esce dall’ombra della stele, come fosse una nuvola di odio e di vendetta. Chi ha coraggio, lo segua.

dal nostro inviatoLuigi Garlando

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