01 novembre 2013

TtA # 25 - La Singolare Associazione

GIOVEDI’ 30 OTTOBRE, MATTINA.

non necessariamente la nostra protagonista
Miriam aveva appena ricevuto la conferma per il volo prenotato dal direttore Tafazzi, quando Marta fece capolino al di là dal bancone della reception con il suo solito sguardo incazzato.
«Posso aiutarti?» chiese.
«Ti ho già detto che quando mi passi le telefonate, devi dirmi chi è e perché mi cercano».
«Lo sai che il direttore vuole che le telefonate siano passate subito al destinatario senza chiedere nulla», rispose timidamente Miriam.
«Io però voglio sapere chi sia a chiamarmi in anticipo».
«Se il capo mi sente rischio che si arrabbi e potrei passare dei guai» rispose cercando di essere gentile.
«Trovo veramente scortese il tuo non volermi venire incontro in questa piccola cosa» ribatté l‘altra piccata. «Qui si lavora tutti insieme, per lo stesso scopo. Non vedo perché non dovresti fare questa cosa che ti ho chiesto».
Miriam, mantenne la calma e guardò la collega.
«Va bene, da oggi farò come da tua richiesta. Però se poi il capo o qualcuno per lui mi dice qualcosa, tu vieni a difendermi, vero?».
Marta trattenne il fiato per non esplodere, pensando a come rispondere a quella che considerava un’insolenza da parte della collega. Prima che potesse arrivare a una conclusione, si spalancò la porta d‘ingresso, e apparve il direttore Tafazzi. Le si dipinse in volto un sorriso, e gli andò incontro.
«Pietro! Allora, com’è andata la colazione di lavoro? Vedo che ti hanno fatto fare tardi!».
«Oh, sì, Marta, non me ne parli! Un vero tedio. Ma ci porterà un sacco di lavoro in più. Le voglio affidare questa nuova sfida. Venga da me prima di andare in pausa pranzo, le spiegherò. Non sarà un lavoro lungo, se ci si mette tutto sabato e almeno mezza giornata di domenica, lunedì avrà tutto pronto per la presentazione della nostra ditta al cliente».
«Come… ma… ma…».
«Ha sempre detto di poter dare molto all’azienda, che quanto fa è ancora poco, giusto? Bene: finalmente potrà dimostrarlo!».
Il direttore diede una pacca sulla spalla a Marta e poi si rivolse a Miriam.
«Come sta la nostra neo assunta? Lo sa, Marta, che la nostra piccola Miriam ieri è passata al contratto a tempo indeterminato? Dolcezza ma fermezza nelle risposte… quante persone oggi giorno sanno fare così? Una vera dipendente modello!».
Miriam arrossì e porse al suo capo l’agenda.
«Troppo buono, direttore» disse, per poi cambiare discorso: «Il volo che mi aveva richiesto è stato prenotato. Inoltre ho cambiato la data di quei due appuntamenti. E ho già chiamato l’idraulico, c’è uno sciacquone che non si ferma più nel bagno degli uomini. Me l‘ha fatta notare Marco».
«Oh, che seccatura. Va bene, grazie Miriam».
L’uomo se ne andò nel suo ufficio facendo un cortese cenno di saluto a entrambe le dipendenti.
«Io… questo fine settimana… avevo da fare…» disse Marta a voce bassa, fissando il vuoto.
Miriam avrebbe voluto dirle qualcosa per incoraggiarla.
«Un bicchiere d‘acqua?» fu l’unica cosa che le venne in mente.
Marta la guardò infuriata, si girò senza rispondere e si avviò verso il proprio ufficio.
La centralinista guardò la collega allontanarsi temendo che se la fosse legata al dito e gliel’avrebbe fatta pagare, prima o poi. Fu in quel momento che dalla porta del reparto Contabilità sbucò Laura.
«Tutto a posto? Che è successo?».
«Marta mi stava facendo uno dei suoi soliti rimproveri, quando è arrivato il capo e le ha appioppato lavoro extra».
«Ho sentito però anche delle lodi nei tuoi confronti» rispose l’altra con aria maliziosa.
«No, dai, solo perché sono appena stata promossa ha detto qualcosa per incoraggiarmi» rispose Miriam arrossendo ancora di più.
«Oh, la modesta! Hai fatto due anni di stage, senza impazzire, senza ammazzare nessuno, senza combinare casini e senza mai scoppiare in lacrime al contrario di quello che succede a molti: l’assunzione te la sei guadagnata!».
«Niente di speciale» insistette Miriam abbassando lo sguardo.
«Dai, venerdì sera andiamo a festeggiare».
«Cosa?».
«Sì, dai! Ti porto in un posto… esagerato!».
«Venerdì sarà Halloween. Non vuoi portarmi a una festa in maschera, vero?»
«Sì che ti ci porto! Trova un travestimento adatto, mi raccomando!».
«Ti informo che io non ballo né mi maschero!».
«Hai fatto due anni di stage? Sopravvivrai a un ballo in maschera!» disse l’altra allontanandosi.

 

 

 

VENERDI’ 31 OTTOBRE, SERA

Il campanello dell’appartamento di Laura suonò vivacemente. La ragazza corse verso la porta, e quando l’aprì vide un lenzuolo bianco con disegnati sopra due occhi e una bocca, e con uno strappo che faceva da buco per respirare.
«Come ti sembra?» disse la voce soffocata proveniente dall’interno.
«Devo essere sincera?» .
«Non ti piace?» chiese Miriam delusa, sbucando da sotto la stoffa.
«No, sì, insomma. Pensavo a qualcosa di più trasgressivo».
Miriam squadrò la collega e amica. Vestiva un abito scuro con una profonda scollatura sovrastato da un mantello nero, era truccata in modo da sembrare pallidissima, e aveva un appariscente rossetto di un colore acceso sulle labbra.
«Vampira?».
La ragazza rispose applicando dei finti canini ai denti.
«E non hai ancora visto le lenti a contatto rosse. Dai entra!».
Miriam visitava per la prima volta la casa di Laura. Un salotto con cucina abitabile dove il caos regnava sovrano: bicchieri pieni a metà su ogni ripiano libero, qua e là un vestito, un paio di scarpe sotto il tavolo, televisore acceso con volume azzerato, la porta del bagno lasciata aperta.
«Carina la casa».
«Bugiarda».
La fece accomodare sul campo da battaglia che doveva essere il suo divano e le porse un bicchiere contenente ghiaccio e un liquido di un colore strano.
«Cos’è?» chiese Miriam preoccupata.
«Bevi e non fare storie».
La ragazza annusò il contenuto del bicchiere, e fece una faccia schifata.
«Cin Cin!» disse Laura trangugiando tutto di un fiato.
«Cin Cin» ripeté lei poco convinta.
Bevve il primo sorso e fece una faccia ancor più schifata di prima.
«È buonissimo, vero? È una mia invenzione».
Miriam sorrise e bevve un altro sorso.
«Non è alcolico, vero?».
«Certo che sì, per chi mi hai preso?».
La ragazza bevve un altro sorso e posò il bicchiere sul tavolino, tra una rivista cinematografica e una pila di cd masterizzati.
«Non voglio esagerare, ora. La notte è ancora giovane».
«Va bene. Dai, andiamo, lo Sparkle Lounge non è lontano, ma ci sarà sicuramente coda per entrare».
«Oh! Non vedo l’ora» rispose l‘altra ironica.

 


non necessariamente la nostra festa
Un’ora dopo la vampira e la fantasmina erano in fila all’ingresso del locale, in mezzo ad una schiera di zombie, mummie, alieni, scienziati pazzi, mostri di Frankenstein e qualsiasi cosa la mente malata umana fosse stata in grado di partorire.
«Oddio, nasconditi!» disse Laura parandosi dietro a Miriam.
«Che c’è?».
«Chi c’è! Marta!».
«Dov’è? Andiamo a salutarla!».
«Ma sei fuori? Quella stronza? Non ho voglia di vederla stasera!».
«Magari fuori dall’ufficio è simpatica».
«Zitta».
Miriam si calò sotto il lenzuolo ammirando Marta mentre passava vestita con un cappello a punta, un cortissimo vestito nero e scarpe con tacchi altissimi. S’intravedeva l’elastico delle autoreggenti. Quando fu abbastanza lontana, Laura riprese a parlarne.
«Solo da strega poteva vestirsi quella stronza».
«Cattiva».
«Sì, da strega cattiva».
«No, dicevo che tu sei cattiva».
«Oh, senti, al lavoro ci tratta tutti come delle merde… crede di essere intelligente solo lei… ma quando c’è qualche problema scarica tutto addosso agli altri. Come la chiami una così?».
«Effettivamente un po’ cattivella lo è».
«No: si dice figa di legno. E poi non ti ricordi la sceneggiata che ti ha fatto solo ieri?».
«Però, scusa, se abbiamo scelto di passare la serata nello stesso locale, potrebbe non essere così diversa da noi. Magari vedremo un suo lato che non conoscevamo e scopriremo di avere molto in comune».
«Magari troviamo un modo per sputtanarla davanti a tutti» suggerì Laura con tono malizioso.
«Cosa?».
«Non ti piacerebbe cancellare per sempre quello sguardo da gran donna dalla sua faccia?».
«Sì, però…».
«Però, stasera la seguiamo e scattiamo qualche foto compromettente».
«C’è un piccolo problema: lei è andata diretta dal buttafuori che l’ha fatta entrare. Noi siamo ancora qui».
«Potresti far vedere le tette al buttafuori per farci passare avanti».
«Non ci penso proprio. Fallo tu, piuttosto!».
«Hai ragione, meglio aspettare.».

 

Dopo una lunga attesa, Laura trascinò Miriam all’interno del locale, tra musica assordante, festoni, gomitate, luci accecanti, ritmi sincopati, spallate, odore di chiuso, sudore e spintoni.
«Non la trovo» urlò Laura.
«Non ti sento!».
«Ho detto che non la trovo!».
«Vado al bancone del bar a farmi un drink» disse Miriam per allontanarsi dall’amica ossessionata da Marta.
«Ottima idea andiamo a cercarla là!».
«Ma io volevo solo bere!»
«Cosa? Non ti sento con questo rumore!»
«Ottima idea, accompagnami!» ribatté Laura trascinando Miriam per un braccio.
Infilandosi tra la ressa, giunsero finalmente al bancone. Miriam era interessata a quale cocktail analcolico ordinare, Laura continuava a cercare tra la folla la sua preda.
«Fa caldissimo, è stata una pessima idea calarmi sotto a un lenzuolo» disse Miriam cercando ancora di distrarre Laura.
«Eccola!» urlò questa, indicando un punto distante della sala.
Su un piano rialzato, erano sistemati dei divanetti: Marta era là insieme a un gruppetto di ragazze e un uomo castano di bell’aspetto, alto e robusto.
«In compagnia di tante ragazze e un solo uomo. Che sfigata».
«Va bene, a noi che ce ne frega?».
«Fa tanto la figa, si dà tanto l’aria di mangiatrice di uomini, poi deve dividerne uno solo con altre sei».
«Magari stasera se lo pappano un pezzo per una».
Laura la guardò di sbieco.
«Sai cosa faccio stasera?» le disse, «Appena il tipo scende dal privè, ci provo con lui».
«Cosa?».
«Ho detto che appena il tipo scende, ci provo con lui».
«Avevo capito. Ho chiesto “cosa?” perché mi sembrava una fesseria».
Laura scostò il mantello, tirò in dentro la pancia e in fuori il petto.
«Pensi che non possa fregarle il tipo? Io sono più giovane, e ho più seno».
«Tu puoi fare quello che vuoi, solo mi sembra una fesseria. E una cattiveria: ti abbasseresti al suo livello. E poi, l‘hai vista come cammina su quei tacchi?».
Laura la guardò ancora di sbieco.
«Affare fatto» rispose più convinta di prima «Appena si alzano, tu vai a salutarla per distrarla, ed io accalappio il tipo».
«E tutte le altre donne con lui?».
«Oddio: dici che sono tutte prostitute con il loro magnaccia? Perché da Marta me lo aspetterei».
«Temo che stasera non porterà nulla di buono».

 

 

Un quarto d’ora dopo, Miriam vide il misterioso uomo alzarsi dal divanetto e scendere le scalinate. Pregò che Laura non se ne accorgesse risparmiandosi e risparmiandole qualche brutta figura, ma purtroppo non fu così.
«Scende!» urlò l‘amica. «Io vado. Tieni d’occhio Marta e se si aggira in zona sai cosa fare!».
«Va bene» rispose lei sbuffando.
Miriam la osservò correre verso di lui, urtarlo facendolo sembrare un caso e dirgli qualcosa, come per scusarsi, mentre scostava il mantello e metteva in mostra la scollatura. L’uomo le diede un bello sguardo, poi con un cenno si accommiatò, in direzione del bagno degli uomini. Le scappò quasi da ridere per la goffaggine di Laura… la quale, non dandosi per vinta, si appostò davanti alla porta per aspettarlo. Miriam sospirò, si voltò dall’altra parte e vide che Marta non era più seduta tra le altre ragazze al privè.
Oddio” pensò… “E ora?”. La cercò con lo sguardo in mezzo alla folla, quando la vide procedere in direzione di Laura. Sapeva di dover fare da “distrazione”, ma non sapeva come… Decise di imitare l‘amica: indossò il suo lenzuolo da fantasma e corse in direzione della donna e la urtò “per caso”.
«Ma che diavolo fai?» le urlò questa.
«Oh, mi scusi, sa, con questo costume non vedo molto bene!» disse cercando di essere il più convincente possibile. «Ma… Marta, cosa ci fai qui?» chiese togliendosi il lenzuolo di dosso. «Ma che bello vederti, sai, sono qui con Laura… stiamo festeggiando la mia assunzione. Oddio, io mi sarei accontentata di una pizza o un ristorante cinese o un kebab ma lei ha tanto insistito. Poi è Halloween, sai, succede solo una volta l’anno e ho detto: “perché no? Divertiamoci!”. E tu cosa fai qui?».
«Lo so che sei qui con quell’altra» rispose la donna. «Vi ho viste far la coda all‘ingresso».
«Oh, potevi farci entrare insieme a te, allora. Abbiamo fatto una fila lunghissima».
«Anche mascherate siete ordinarie come sempre, noto» proseguì lei ignorando il commento ricevuto. «Tu almeno ci hai messo un po’ di fantasia, ma lei sembra una di strada. Oh, un vampiro! Come se non ce ne fossero abbastanza qui dentro».
«Scusa, ma abbondiamo anche di donne vestite da strega, se non l’avessi notato», appuntò Miriam senza malizia.
Marta invece si arrabbiò. Trattenne il fiato per non esplodere, pensando a come rispondere a quella che considerava un’insolenza da parte della collega. Prima che potesse arrivare a una conclusione, apparve il misterioso bell’uomo, con Laura sottobraccio.
«Marta, non indovinerai mai: ho incontrato una tua collega… al bagno».
«Fuori dal bagno» si affrettò a correggere Laura.
«E non mi si stacca più di dosso» disse sorridendo.
«Sì, vedo. Anch’io ho trovato una collega» rispose Marta indicando sprezzante Miriam.
«Oh, ma che piacevole sorpresa!» le disse l’uomo. «Io sono Alan, sono un amico della carissima Marta. Volete venire con noi nel privè?».
«Cosa?» urlò Marta arrabbiata.
«Cosa?» urlò Laura incredula.
«Cosa?» chiese Miriam stupefatta.
«Ma sì, dai, stiamo in compagnia. Non mi ha detto come si chiama, signorina».
«Oh… Miriam».
Marta trattenne il fiato e guardò Alan:
«Ricordati che abbiamo quell‘impegno» sbottò.
«Come potrei dimenticare?» rispose l‘altro indicando Miriam e Marta.
«Come mai lei non è travestito, Alan?» chiese Marta con tono civettuolo.
«Io sono travestito. Da persona normale. Abitualmente non vado in giro in completo grigio, credetemi» rispose lui con fare da piacione.
«Ho notato che è in compagnia di molte ragazze» osservò Miriam.
«Ma come, Marta, non hai parlato alle tue amiche della singolare associazione di cui facciamo parte?»
«No, Marta, di quale singolare associazione fai parte, insieme ad Alan?» chiosò Laura maliziosa, sotto lo sguardo disapprovante di Miriam.
«Venite, signorine, avremo di che parlare!» propose Alan prendendo sotto braccio entrambe, mentre Marta diventava rossa di rabbia.

 

 

Miriam e Marta furono portate nel privè, dove Alan la presentò alle altre sei ragazze. Queste le accolsero offrendo loro da bere, e insistendo di fronte al rifiuto di Miriam.
«Dai, Miriam» la incoraggiò anche Laura, «Siamo a una festa: divertiti!»
In circa quarantacinque minuti, Miriam bevve la stessa quantità di alcool bevuta in tutta la sua vita, ma nonostante tutto era vagamente brilla. Laura, nonostante fosse abituata a bere, era invece alquanto ubriaca.
«È bello trovarti qui, Marta» disse Miriam, «E poterci divertire con te. Al lavoro sei sempre così altera e seria».
«E ti arrabbi per nulla» intervenne Laura «Come la storia delle telefonate dell’altro giorno… ma perché dovresti avere un trattamento speciale se il capo vuole una cosa diversa?».
«Diciamo che dovresti essere sempre come stasera: cordiale, allegra… un brindisi per Marta!», intervenne Miriam.
Le altre ragazze le fecero eco e la seguirono nel brindare. Laura si curvò sulla sua sinistra appoggiando la testa sulla spalla di Alan.
«Alan, abbiamo bevuto e bevuto ma non hai ancora spiegato cos’è questa singolare associazione di cui facciamo parte» intervenne Marta.
«Hai ragione e me ne scuso con le tue amiche. Sapete», disse rivolto espressamente a loro due «Non è una cosa molto comune… come potremmo definirci? Dire “un gruppo New Age“ non centrerebbe bene la questione… mentre definirci esoterici, sarebbe riduttivo. Spiritisti? Definizione azzeccata fino ad un certo punto. Diciamo che ci piace pensare che non sia tutto mera materia, ma ci sia qualcosa in più».
Mentre Alan parlava, Miriam, di tanto in tanto, guardava Marta di nascosto, per vedere le sue reazioni. La donna restava in silenzio, sorseggiava il drink, e respirava profondamente fissando Laura. La quale, appoggiandosi addosso ad Alan, cercava apertamente e sottilmente di provocarla. Alle altre ragazze la cosa sembrava non dare fastidio.
«Oddio ragazze… e signor Alan… credo di aver bevuto troppo» disse a un certo punto Laura.
«Credo che un po’ di aria fresca le farà bene» disse Marta guardando l’uomo.
«È anche quasi l’ora» disse Alan.
«Saliamo?».
«Saliamo dove?» chiese Miriam? «E che ora è?».
«Come sapete è la notte di Halloween. Per questa ricorrenza ci piace eseguire un piccolo rito, anche se noi non amiamo chiamarlo così… E visto che stanotte torna anche l’ora solare, abbiamo deciso di sfruttare la coincidenza e celebrarlo proprio nel momento in cui andranno tirati indietro gli orologi. Vedrete, vi farà meglio di mille parole cosa fa la nostra associazione».

 

Le dieci persone presero le scale si spostarono al piano di sopra. Laura, ubriaca, fu sorretta da Alan e Miriam. Non che lui non ce la facesse da solo, ma l’amica voleva starle vicino. I tre incrociarono un inserviente del locale, e la ragazza notò distintamente Alan passargli una mazzetta di banconote.
«Nessuno disturberà», assicurò l‘uomo.
Una volta arrivati sulla terrazza, Marta accese una serie di fiaccole dispose a cerchio, Laura fu fatta adagiare su una sedia al centro di una stella a cinque punte segnata a terra con del nastro rosso.
non necessariamente il nostro rito. Anzi, per nulla
«Cos’è questa roba?» urlò Miriam sospettosa.
«Prendetela» ordinò Alan alle ragazze, che subito si gettarono su di lei bloccandola.
«Che diavolo fate?».
Marta entrò in un ripostiglio e ne uscì con una corda in una mano e nell’atra una sedia di plastica che sistemò di spalle a quella dove era stata accomodata Laura.
«Portatela qui» ordinò.
«La lego io» si offrì Alan, facendosi passare la corda.
«Che diavolo fate?» urlò Miriam cercando di dimenarsi, «Scappa Laura, vai a chiedere aiuto!».
«È troppo ubriaca per capire cosa stia succedendo» disse Alan afferrandola, «E domani dimenticherai tutto anche tu» aggiunse, bloccandola sulla sedia.
«Che cosa fai? Lasciaci andare!».
«Sì, domani, piccola. Riguardo a cosa faccio… la nostra singolare associazione si occupa di quello che volgarmente voi chiamereste satanismo. Veneriamo Nagarotto, Diavolo Tormentatore. Io sono il Sacerdote Nero, e loro le mie Streghe. Marta è la Strega Superiore, le altre le sue apprendiste. Come potrai facilmente immaginare, per servire il nostro Diavolo, dobbiamo tormentare la gente. Oltre al semplice essere maleducati e sgradevoli, ogni tanto offriamo al demone delle vittime, alle quali lui si lega e da cui trae forza vitale. In cambio ci offre il successo e il potere che nella vita ci permettono di poter tormentare ancora più gente e servirlo meglio. Vuoi un esempio? Io ho fatto soldi con un’azienda di abbigliamento. In cambio ho maltrattato mia moglie, fatto sentire inadatto mio figlio, quindi ho reso la vita impossibile a tutti i miei dipendenti».
«Io sto per diventare la vice del direttore Tafazzi, invece. Il tutto grazie a due ex mariti ridotti sul lastrico, un ex fidanzato cui ho procurato un esaurimento di nervi, due amanti in depressione e uno addirittura suicida» intervenne vantandosi Marta.
«Ha ragione Laura a parlare male di te» disse Miriam.
«Figurati: nella lista c‘è anche un tizio che lavorava con noi anni fa di cui si era invaghita. L’ho lasciato di punto in bianco e lui è diventato alcolizzato. Ha dovuto dare le dimissioni per curarsi».
«Te la faccio pagare!».
«Oh, la bimba tira fuori gli artigli!» disse Marta ficcandole un fazzoletto in bocca. La ragazza iniziò a mugugnare in modo rumoroso e ritmico, quasi cantilenando.
«Adesso eseguiremo quello che non ci piace chiamare rito, ma nei fatti lo è» interruppe Alan. «Vi sentirete deboli, vi addormenterete e domani non ricorderete nulla, ma questo creerà un legame tra Nagarotto e voi: ogni volta che vorrà nutrirsi, prenderà un po’ delle vostre energie, fino a che non sarete poco più che larve. Lui altererà la Sorte intorno a me e alle mie amiche… e la bella Marta diverrà il vostro capo. Vi tormenterà ancora di più e nutrirete maggiormente il nostro demone. Se non vi avessimo incontrato, quest’onore sarebbe toccato a uno o più estranei scelti a caso».
«Smettila con questi versi» le ordinò Marta.
«Oh, lasciala stare. Non darà nessun fastidio» disse Alan. «Iniziamo».
L’uomo si mise di fianco a Miriam e Laura, mentre Marta e le altre ragazze si disposero in cerchio, ognuna con una fiaccola in mano. Alan iniziò a cantilenare una lagnosa formula in una lingua incomprensibile, e a gesticolare. Le donne gli fecero eco. Lui ripeté più forte, fino a che gli venne il fiatone. Miriam e Laura erano ormai addormentate. Pur dormendo, Miriam continuava a canticchiare la sua nenia, come fosse ubriaca.
«Scendi a chiamare l’inserviente» disse Alan a una delle ragazze, «Ci aiuterà a caricarle in macchina e riportarle a casa. Domani si sveglieranno nel loro letto e non ricorderanno più nulla».
«Un altro rito è stato eseguito con successo» gli disse Marta baciandolo.
Lui l’accarezzò.
«Se tutto va come deve, io diventerò Sacerdote Supremo, e l’anno prossimo potrei lasciare il mio ruolo attuale a te».
«E promuovere una di queste sciacquette al mio posto?».
Alan rise e la baciò di nuovo.
«T’inviterei da me, ma sai che c’è mia moglie che mi aspetta ancora alzata chiedendosi dove stia passando la notte».
«Eh» sospirò lei, «Ti capisco. Io invece domani dovrò lavorare su una presentazione. Il nostro Demone non ci fa avere successo senza lavorare, purtroppo».



 

LUNEDI’ 3 NOVEMBRE

Laura e Miriam a metà mattinata si incontrarono alla macchinetta dell’ufficio per un caffè.
«Venerdì sera mi sono proprio sfasciata. Ho avuto i postumi della sbornia fino al tardo pomeriggio di ieri. Però ora sto bene» disse la prima.
«Io non sono stata male, però non ricordo nemmeno come abbiamo fatto a tornare a casa tua dalla discoteca» rispose l’altra.
«Anche Marta è malconcia, stamattina».
«Ma dai?» osservò Miriam con sorriso malizioso.
«Quando sono arrivata alle otto e mezzo, era già in ufficio davanti al computer. Aveva un’aria… sembrava uno straccio. Lei che non ha mai un capello fuori posto. Chissà se ha passato la nottata col figone castano. Come si chiamava?».
«Allen, Alton, qualcosa del genere» rispose l’altra fingendo di non ricordare. «Credo però che tutto ciò sia causato dalla presentazione che deve preparare per conto del capo. Prima di entrare da lui, mi è passata davanti e con un sorrisino mi ha detto di augurarle buona fortuna e prepararmi a chiamarla capo».
«Brrrr… t’immagini se diventa socia di Tafazzi,che inferno diventerà la nostra vita?».
Miriam rise.
Proprio in quel momento Marta uscì di corsa dall’ufficio di Tafazzi piangendo.
«Questa presentazione fa schifo! Per colpa tua abbiamo perso il cliente! Scordati la promozione!» urlò il direttore.
«Che diavolo è successo?» si domandò Laura a voce alta.
«Eh, magari è stato proprio quello» rispose Miriam prima di allontanarsi.
Aveva visto Marta entrare in bagno, e aveva deciso di seguirla. Si sistemò, senza far rumore, nel gabinetto a fianco di quello occupato dalla collega e iniziò ad ascoltare mentre parlava, probabilmente al cellulare.
«Alan, è successo qualcosa! Io sto di merda, il capo ha respinto la mia presentazione e non mi assegnerà il posto di vicedirettore» la sentì dire, interrompendosi per trattenere un singulto. «Come? Tua moglie se n’è andata? Ti ha lasciato per il vostro avvocato? Si è presa la casa e l’azienda? Ma… il rito non avrebbe dovuto assicurarci il successo? Oddio, cosa può essere andato storto?».
La donna riattaccò la conversazione e riprese a piangere. Miriam uscì dal gabinetto e si sistemò in modo da tenere ferma la porta d’ingresso. Si mise a cantilenare a bocca chiusa una nenia, la stessa canticchiata venerdì notte dopo essere stata imbavagliata. Vide aprirsi la porta del gabinetto dove sedeva Marta. La donna la guardava a bocca aperta.
«Tutto bene?» le chiese Miriam.
Marta non rispose. Miriam fece spallucce e si appropinquò al lavandino per lavarsi le mani. Le asciugò e si diresse verso la porta.
«Mi dispiace per la tua promozione», le disse prima di uscire.
«Tu! Sei stata tu! In qualche modo hai impedito che il rito si compiesse».
«Non so di cosa parli, davvero!» rispose l’atra con tono incredulo, «Ricordo ben poco di venerdì… mi sono risvegliata a casa di Laura senza sapere come ci sono arrivata. Pensa te!».
Marta la afferrò per un braccio.
«Anche tu… sei una strega, in qualche maniera».
«Marta, per favore, mi fai male!».
«E in qualche modo hai bloccato il rituale… ora Nagarotto prende nutrimento da me e Alan».
«Per favore, Marta, sei stanca, straparli, hai bisogno di riposo. Dico al capo che vai a casa, ok?».
Marta lasciò andare Miriam e si diresse verso il proprio ufficio, prese borsa e giacchetta e uscì.
Miriam, rientrata alla reception, prese il telefono per comunicare l’indisposizione della collega al capo.
Marta scese nel parcheggio, prese l’automobile e schizzò in strada, di corsa verso casa. Accese il cellulare e cercò di contattare Alan.
«Alan, ho capito cosa è successo», gli comunicò, senza poter mai finire la frase: distratta dalla telefonata prese un semaforo rosso e fu centrata in pieno da un camion che stava passando.

 

 

VENERDI’ 7 NOVEMBRE

non necessariamente il nostro funerale
Al funerale di Marta parteciparono pochi familiari stretti e quasi tutti i colleghi dell’ufficio. Il cielo era limpido e un sole tiepido illuminava e riscaldava i presenti al cimitero.
Il sacerdote, che non conosceva la defunta, svolse una breve e formale cerimonia. Una volta finita, l‘assemblea si sciolse. Laura e Miriam decisero di fermarsi presso un bar lì vicino. Il direttore Tafazzi aveva dato un giorno di permesso a tutti.
«Certo è terribile, morire così di colpo. Ora ci sei, dopo puff, non ci sei più» commentò Miriam.
«Non credo che mancherà a qualcuno» osservò Marta cinica.
«Sei crudele anche di fronte ad un evento così tragico».
L’amica fece spallucce e cercò di cambiare discorso.
«Non sai chi mi ha chiamato giusto ieri».
«Chi?».
«Mario. Forse te ne avevo parlato. Lavorava da noi anni fa. Aveva una storia proprio con Marta. Lei l’ha fatto penare talmente tanto che per non farsi venire un esaurimento ha dato le dimissioni. Ha saputo della sua morte dal giornale e ha voluto sapere cosa le fosse successo».
«Fammi indovinare: gli hai strappato un appuntamento?».
«Come fai a saperlo?».
«L’aria sognante con cui ne parlavi».
Laura arrossì senza rispondere.
«Te n’eri innamorata già all’epoca ma lui preferì Marta, giusto?» proseguì Miriam.
Laura arrossì ancora di più.
«E adesso che si è rifatto vivo, con la rivale fuori dai giochi…».
«Ehi, sei tu che ti stai facendo malvagia ora».
«Ok, ok. Piuttosto, guarda qui, restando sempre in tema di morti».
Miriam mostrò all’amica un articolo su un quotidiano free-press trovato appoggiato al loro tavolino: il magazzino di un’azienda di abbigliamento aveva preso fuoco causando la morte del proprietario e di sei giovani dipendenti. Illesi o minimamente feriti gli altri. Il giornale mostrava una foto dello sfortunato uomo in questione e delle sei ragazze.
«Hanno un’aria familiare» commentò Laura.
«Il tipo con cui Marta era alla festa venerdì scorso e le sue amiche».
«Oddio Sembra una vera e propria maledizione».
«Non direi. Qualcuno ha puntato troppo in alto e le cose gli sono andate male».
«Spiegami meglio» chiese l’altra incuriosita.
«Non fa nulla. Devo dirti un’altra cosa», proseguì Miriam in tono serio. «Ho trovato un altro posto. È in un’altra città, dove abitano alcuni miei parenti».
«Oddio, te ne vai?».
«Sì, ho dato le dimissioni oggi stesso. Senza preavviso».
«Ma… ma…»
«Dispiace anche a me andare via e lasciarti» disse prendendole la mano. «Sei stata la migliore amica che abbia mai avuto» disse quasi piangendo.
«Sei appena stata assunta!».
«Lo so» rispose ridendo. «I casi della vita. Era prendere o lasciare. Non mi hanno dato molto tempo per pensarci».
«Ci rivedremo ancora? Tornerai a trovarmi? Posso venire io da te, se vuoi».
«Non credo di tornare, qui ho fatto tutto quello che dovevo. Riguardo a dove andrò… mi faranno viaggiare molto, ci rivedremo solo se il destino lo vorrà».
Una lacrima scese lungo la guancia sinistra di Miriam, Laura trattenne a stento le sue.
«Capisco. Hai bisogno di aiuto per impachettare le tue cose?».
«Si grazie. Non parto subito, ho ancora qualche giorno. Vogliamo andare a festeggiare?».
«Certo» rispose l’altra sorridendo, «Ma stavolta lascio scegliere il posto e te. Non voglio tornare a casa ubriaca senza ricordare niente come l’ultima volta».
«Fidati, a volte è meglio».

 

 

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