Armando uscì di casa quando il sole agostano stava ormai
tramontando. Una volta arrivato di fronte alla sua tabaccheria preferita,
quella del suo amico Piero, trovò la serranda abbassata con appeso il cartello
di ‘chiuso per ferie’.
“La mia memoria fa cilecca, me l’aveva detto che avrebbe
chiuso. Poco male, così non perdo tempo in chiacchiere” pensò, puntando al
distributore automatico.
Infilò una banconota da dieci nell’apposita fessura, ma la
macchinetta la respinse. Stupito, riprovò a inserirla dall’altro lato, ma anche
stavolta niente. Sfoderò tutto il repertorio: arrotolarla, lisciarla, sfregarla,
controllare che gli angoli non fossero spiegazzati. Provò con altre banconote,
ma il risultato non cambiò. Incazzatosi, tirò un pugno alla macchina, che andò
in tilt. Stizzito, sbirciò intorno, sperando che nessuno l’avesse visto. Guardò
la videocamera di sorveglianza, che sapeva essere solo un pezzo di plastica
inattivo e inerte, e le fece una linguaccia. Si mise allora in marcia verso
l’altra tabaccheria del quartiere, quella gestita dalla “pazza”, come l’avevano
soprannominata. Una signora avanti con gli anni, che a memoria d’uomo, o per lo
meno a memoria degli abitanti più longevi del quartiere, aveva sempre gestito quell’attività
e non era mai invecchiata di un giorno. Il nome vero della signora non lo
ricordava nessuno, sapevano solo il suo nomignolo, affibbiatole da chissà chi
chissà quando a causa di alcuni suoi bizzarri comportamenti. Ad esempio,
ignorare eventuali clienti che si presentavano in negozio mentre lei era
impegnata in una telefonata. Oppure guardare storto eventuali nuovi avventori.
O ancora, rifiutarsi di servire coloro che non vedeva da un po’: “dove te le
sei comprate le sigarette, in tutto questo tempo? In città? Bene, vai a
comprartele lì anche oggi!” urlava loro. Come mai non fosse ancora andata in
fallimento non si sa: dopo decenni era sempre lì.
Arrivato nelle vicinanze del locale, Armando notò che non
aveva il distributore automatico, e che quindi era costretto ad entrare.
Respirò profondamente e si fece forza pensando a come rispondere alle probabili
stramberie della donna.
“Entro, prendo le sigarette ed esco prima possibile” si
disse.
Varcò l’ingresso.
“Desidera?” chiese la donna con
tono brusco.
“Si, buonasera” rispose lui
avvicinandosi al bancone, “Un pacchetto di Silk Cut, per favore”.
“Sai come le chiamano le
sigarette? Chiodi di bara. Fa molto figo tenere la sigaretta tra le labbra o in
mano, ci si atteggia da gran signori, ma sai cosa succede ai polmoni? Sai cosa
c’è dentro alle sigarette? Per dirne una: catrame. Come quello delle strade.
Chi si mangerebbe un cibo a base di catrame? Chi si berrebbe una bevanda a base
di catrame? Ma respirarselo, il catrame, sì, vero? E lo so che voi non potete
stare senza. Se non fumate vi innervosite, ingrassate, è peggio di una droga. E
tutte quelle scritte che fanno male a te e chi ti sta vicino e le ecografie dei
polmoni rovinati e dei malati terminali? Eh, come la mettiamo? Eh? È una
vergogna che venga permesso lo smercio di queste cose, e che ci sia gente che
ci lucri pure su!”.
Le promesse di Armando di stare buono svanirono subito.
“Scusi, allora perché gestisce
una tabaccheria?” sbottò.
La donna rimase un po’ in silenzio, con gli occhi sgranati e
un’espressione severa, come se avesse ricevuto un insulto. Armando inizialmente
ebbe paura, ma poi pensò che lui era il cliente, e che lui aveva ragione, e che
lui sarebbe tornato a casa con le sue sigarette. Le sue fottute sigarette. Che
lui voleva fumarsi e nessuno gliel’avrebbe impedito.
“Per cortesia, mi dà il mio
pacchetto…?” chiese con tono fermo ma cortese. “Anzi, me ne dia tre: faccio la
scorta”.
Il viso della tabaccaia si distese, afferrò i tre pacchetti
e si diresse verso l’angolo del bancone dov’era sistemata la cassa. Armando,
con una smorfia di trionfo, la seguì.
La donna appoggiò i tre pacchetti e iniziò a battere a
ripetizione i tasti del contatore, che emisero il loro classico ticchettare. La
cosa si protrasse per un po’ e Armando si innervosì. Cosa ci voleva a fare uno
scontrino per tre pacchetti di sigarette? Tutt’al più che quando si riforniva
dal suo amico Piero, questo lo scontrino non glielo faceva mai. Ma quindi…
Piero era un evasore fiscali o era la donna che cercava prenderlo in giro in
qualche modo? Bisogna davvero farlo lo scontrino per le sigarette?
“Lo scontrino bisogna farlo, Piero è un evasore, e questa
donna mi sta prendendo in giro” stabilì tra sé e sé.
“Mi scusi” chiese lui per
tagliare corto, “Ci vuole ancora tanto? Avrei fretta”.
La donna smise di picchiare sui tasti, volse lo sguardo
verso l’ingresso, e poi fuori dalla vetrata come se stesse controllando
qualcosa. Poi si girò nuovamente ad Armando, e gli sorrise, picchiando su un
tasto più grosso degli altri. Gli mancò letteralmente il pavimento sotto i
piedi, cadde verso il basso, atterrando e picchiando il culo sul pavimento duro
in una stanza profonda e buia. Fece appena in tempo a realizzare di essere
caduto in una botola, che la vide richiudersi. Udì un suono simile a una
perdita di gas, e perse conoscenza.
Si risvegliò dopo un tempo indefinito. Gli ronzavano le
orecchie e pulsavano le tempie. Si rese conto di essere bendato, imbavagliato e
incatenato a una colonna, in un’ambiente fresco e secco. All’improvviso, udì
dei passi leggeri avvicinarsi in seguito ai quali si levò il suono di diversi
mugugni all’interno della stanza. Quante persone c’erano con lì con lui? Che
diavolo stava succedendo?
“Silenzio” sentì urlare da una
voce stridula di donna. Riconobbe quella della tabaccaia.
“Ricomincia la gara” aggiunse la
stessa voce a tono normale.
Sentì un fruscio e lo scattare di un accendino. Un leggero
inspirare ed espirare, e poi l’inconfondibile odore di fumo di sigaretta. Delle
sue sigarette.
“Ripeto le regole per i nuovi
arrivati: siete qui prigionieri senza acqua né cibo”. La donna fece una pausa
per tirare un’altra boccata. “Chi resiste di più senza, vince una sigaretta.
Chi schiatta peggio per lui. Chi cede e chiede da bere o mangiare, lo faccio
schiattare io. Io ogni giorno vi soffio addosso il fumo di una sigaretta
diversa… così, per essere bastarda”.
Armando trasalì, provò ad agitarsi per liberarsi, ma fu
inutile.
“Piantala di far casino o ti
spengo la cicca in faccia, stronzo” le disse la donna, che riprese a fumare
lentamente la sigaretta passeggiando per la stanza fino spargendo il fumo
ovunque. Quando finì disse:
“Domani torno, e vediamo se
qualcuno di voi mezzeseghe si arrende”.
Si allontanò in silenzio.
Armando ripensò a sua moglie incinta, a quello che le aveva
detto prima di uscire di casa:
“Cara, esco a comprare le
sigarette. Torno subito”.
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